(Una escursione, programmata di facile difficoltà,
realizzata poi con una arrampicata ed una traversata completa
del monte simbolo del Parco Naturale del Mont Avic in Valle
dAosta)
di Enea Fiorentini
Perchè unescursione al Mont Avic?
Quando posso ritornare in Valle dAosta per qualche periodo
di vacanza, cerco sempre di essere pronto per affrontare escursioni
in zone da me poco conosciute.
Questanno Giubilare mi ha portato fortuna e mi
ha consentito di portare a termine alcune imprese montanare.
Nel breve soggiorno valdostano, sono riuscito ad arrampicare
(ho finalmente trovato un partner in zona), ho percorso alcune
vie ferrate che ancora non conoscevo (non sono molte quelle
presenti in Valle dAosta) ed ho effettuato alcune escursioni,
anche se, questa volta, in "solitaria".... Tra le escursioni
programmate, non trascuro mai di prevederne qualcuna nuova
nel Parco Naturale del Mont Avic.
In questo splendido angolo naturale della Valle dAosta,
fortunatamente ancora fuori del gran flusso turistico di massa
(che ormai sta invadendo molte zone montane), riesco a trovare
la pace naturale, unita alla bassa presenza umana, che
mi ricordo di aver conosciuto negli anni giovanili in altre
località della mia regione, oggi divenute ormai infrequentabili.
Dove si trova e come si accede al Parco Naturale del Mont
Avic?
Il Parco del Mont Avic, primo parco naturale valdostano (escludendo
il P.N. Gran Paradiso), è stato istituito nellottobre
del 1989 al fine di conservare le risorse naturali presenti
nellalta valle del torrente Chalamy, comprese nel territorio
del comune di Champdepraz. Attualmente dispone di
una superficie di 3500 ettari. La valle del torrente
Chalamy, che scorre da ovest a est ospita, nella sua parte alta,
il Parco Naturale del Mont Avic. Essa si apre, nascosta
al di là di quinte rocciose, nel versante destro della
valle principale della Dora Baltea, poco oltre la virata verso
sud che la valle della Dora compie nei pressi di Montjovet. Con
la media valle della Dora, il Parco ha in comune la dorsale
settentrionale, dal Mont Avic al Mont Barbeston. La
testata del Parco (ovest) si apre invece con due colli verso
la Val Clavalité (Fénis), mentre il fianco meridionale,
dal Mont Glacier alla Cima Piana, costeggia la Valle di Champorcher. Il
lato est del Parco si affaccia sulla valle centrale della Dora,
proprio nella zona del suo accesso principale. Nel
Parco si accede normalmente seguendo una carrozzabile che si
distacca dalla S.S. n.26 (a circa 2 km. da Verres, procedendo
in direzione di Aosta). La carrozzabile tocca varie
frazioni, tra cui la località Fabbrica, dove cè
la Sede Amministrativa dellEnte Parco, poi raggiunge Champdepraz,
il capoluogo comunale che si affaccia, da un poggio, sulla valle
centrale e fa da ingresso principale al Parco. La
strada continua seguendo numerosi tornanti e termina a Veulla
di Chevrère (mt.1300). Da qui in poi, si diramano
i sentieri e le carrarecce in varie direzioni nel Parco.
Esistono altri accessi al Parco,attraverso i colli del lato
sud e ovest ma, per lescursione al Mont Avic, non sono
idonei poichè prevedono itinerari troppo lunghi e complicati. Per
questa escursione, laccesso migliore è quello di
Veulla di Chevrère, raggiungibile in auto da Champdepraz.
Lescursione "prevista"
Vi voglio raccontare questa recente, strana e stupenda escursione
nel Parco Naturale del Mont Avic, programmata per esser breve
e poi divenuta una traversata integrale del monte simbolo
del Parco, comprendente larrampicata finale alla vetta
(mt.3006), che ha comportato un impegno totale di 9 ore e 30
minuti, e che è stata effettuata senza soste importanti.
(Cartina del Parco, per gentile concessione
della Direzione del Parco Naturale Mont Avic)
<La Direzione del Parco informa che lascensione
al Mont Avic è di tipo alpinistico (anche se facile) e pertanto
non rientra nella rete sentieristica segnalata e curata dallEnte
Parco>
Lobiettivo iniziale dellescursione era, infatti,
quello di raggiungere il Lac Gelé a 2600 metri di quota,
partendo dalla località di Veulla di Chevrère (mt.1300),
strategica base di partenza per molte escursioni nel
Parco, seguendo il sentiero n.6. Desideravo vedere
da vicino questo strano lago, di solito ghiacciato, che si trova
dislocato nel margine ovest del Parco, nascosto ed incassato
tra il Mont Iverta (mt.2939) a ovest ed il Mont Envers du Lac
Gelé (mt.2918) ad est.
Avevo deciso, in pratica, di effettuare una salita di facile/media
difficoltà.
Inoltre, questescursione mi permetteva di transitare nelle
vicinanze della parete sud del Mont Avic, che non conoscevo
ancora bene, e di visitare unimportante zona mineraria,
ricca di antiche gallerie utilizzate per lestrazione del
minerale di magnetite, alcune delle quali con ingressi ancora
visibili e cunicoli in parte percorribili.
Le tabelle di marcia, stampate sui depliants del Parco, indicavano
un impegno di circa 4 ore e 30 min. per raggiungere il Lac Gelé
e di circa 2 ore e 30 min. per ritornare alla base.
Si profilava quindi una bella escursione di circa 7 ore (o forse
meno, essendo solo), su un sentiero ben segnalato e quindi effettuabile
anche in "solitaria".
Lescursione "effettuata"
Arrivo in zona di buon mattino.
Il tempo non è un granchè, è variabile con piccoli
sprazzi di cielo azzurro, fa fresco e non piove: per me è
il tempo ideale per camminare.
Me la prendo comoda ed entro nel Museo Naturalistico di Covarey
(piccola fraz. di Chevrère prima di quella di Veulla),
per una breve visita e per scambiare qualche parola con la gentile
signorina preposta a fornire le informazioni ai visitatori del
Parco.
Se capitate qui, non trascurate di fare una sosta in questo
Museo: ciò vi consentirà di avere una preventiva visione
dinsieme del Parco e di capire le possibilità offerte
per una sua visita; vi permetterà forse di indirizzare
meglio la vostra scelta dellitinerario da seguire.
Nei pressi del Museo, sotto unampia tettoia, è
possibile dare uno sguardo al plastico dellintero territorio
del Parco (in scala 1:5000) ed anche questo è un valido
aiuto per avere una più approfondita visione della morfologia
dellintera area.
Colgo loccasione per avvertire la ragazza del Museo sulle
mie intenzioni:
<Conto di arrivare fino al Lac Gelé, seguendo il
sentiero n.6; farò poi qualche giro nella zona mineraria
lì vicino e, forse, raggiungerò il Col de Kiva>,
dico alla ragazza.
<Molto bene, prendo nota> è la sua gentile
risposta, <sicuramente ci rivedremo nel pomeriggio, io
resto qui al Centro Visitatori del Museo fino alle ore 17,30.
Ora sono quasi le 9 e quindi non ci sono problemi
di orario. Buona escursione!>.
Parto così con un passo tranquillo, poco prima delle ore
9, dalla fraz. Veulla della località Chevrère a 1300
mt. di quota, su una bella carrareccia, in parte lastricata,
che inizialmente fiancheggia e supera la piccola, bianca chiesetta
del paese ed il suo piccolo campanile (vero "faro" della
valle), ben visibile anche da lunga distanza.
Eccomi finalmente in cammino nella natura! Come è
bello ritrovarmi di nuovo qui!
Procedo in solitaria, è vero, ma non mi sento solo,
sono attorniato da piacevoli e familiari suoni.
Quello degli uccelli è certamente il più vario e complesso,
ma si sovrappone bene a quello imponente ed omogeneo delle cascate
dacqua che scendono dai versanti della valle e che si
tuffano nei vari torrenti. I ruscelli e le piccole
sorgenti, che si incontrano lungo il sentiero, forniscono poi
unulteriore tonalità, forse più gentile ed argentina,
al coro complessivo delle voci di questa orchestra naturale...
No!.. Non mi sento per niente solo!... Mi
sento invece... finalmente a casa!..
Noto con piacere che nel frattempo, lungo il sentiero del Parco,
sono stati sistemati nuovi cartelli indicatori.
Su di loro sono state applicate alcune tabelle esplicative che
spiegano non solo le varie direzioni da prendere, ma anche,
e soprattutto, le particolarità vegetazionali presenti
nel territorio attraversato o le zone di attività delluomo
su queste montagne.
Una prima tabella indica che sto camminando su unantica
strada mineraria, unaltra mi segnala che sono vicino ad
una zona in cui era stata costruita una carbonaia su uno spiazzo
nel folto del bosco, anchesso preparato dalluomo;
la carbonaia, e una volta ce nerano molte nelle varie
zone del Parco, era indispensabile per ricavare il carbone di
legna che era utilizzato per la fusione del minerale di ferro,
operazione finale che veniva effettuata presso unantica
fonderia che esisteva in una zona bassa del Parco, nella località
di Serva.
Le miniere di questa valle erano coltivate già in epoca
antica, ma furono ampliate e sviluppate a partire dal XVII secolo.
Pensate a quali e quanti sforzi si sottoponevano quei minatori
che lavoravano nelle miniere della zona fino a circa 100 anni
fa, per trasportare il carbone ed il minerale a valle per più
di 1400 metri di dislivello, più volte ogni settimana,
trainando a mano o con laiuto di qualche animale le pesanti
slitte cariche....
Immaginatevi anche di quale tipo di abbigliamento e di calzature
disponevano!
Ed il cibo? Certamente era più genuino di quello
attuale, ma sicuramente anche più povero in quantità
e varietà...
Il sentiero n.6 segue proprio lantico tracciato della
strada mineraria, costruita con pietre a secco, a volte sistemate
in rilevato per superare zone di pietraie sconnesse su più
livelli, zone paludose oppure per mantenere una pendenza costante
rispetto a quella molto discontinua e ripida del terreno circostante.
Poco più avanti un cartello segnala la presenza di alberi
di ontano bianco, ed un altro lavvicinarsi di una zona
di foresta popolata da pino silvestre. Queste essenze
arbustive, prediligono le zone più soleggiate, calde e
più riparate della valle: esse crescono tra i 1200 e i
1700 metri di quota.
Dopo una serie di tornanti ed il superamento di qualche ponte
sui torrenti della zona, arrivo ad un primo bivio, allinizio
di una piccola area pianeggiante: il solito cartello indica
la possibilità di seguire il sentiero n.7 che conduce verso
il Colle di Valmeriana (mt.2281) ed il Mont Barbeston (mt.2483).
Si tratta, in effetti, di un primo ramo di questo percorso che
sale nel bosco con tornanti molto ripidi e che è quindi
faticoso se affrontato in salita, ma è molto rapido quando,
in discesa, si vuole rientrare velocemente alla base.
Il sentiero n.6 invece attraversa il piccolo pianoro e prosegue
diritto, per ora in falso piano, in questa zona della valle
che bordeggia la sponda sinistra orografica del torrente Chalamy
(il più importante corso dacqua del Parco).
Raggiungo in breve la fraz. di Magazzino (mt.1461), dove la
carrareccia termina in un piccolo piazzale che può ospitare
qualche auto (infatti, trovo qui parcheggiati diversi fuoristrada).
In un angolo della radura, ci sono dei piccoli ricoveri e casupole
in lamiera che ricordano ancora la funzione di questarea
come raduno delle merci e dei materiali della zona.
Da qui partono solo sentieri che sirradiano in molte direzioni.
A sinistra (sud), penetra nel bosco il sentiero n.5 che porta
verso la zona dei grandi laghi, a destra (nord) si distacca
il secondo ramo del sentiero n.7 (questo sale più dolcemente
fino allalpeggio Pra Oursie (mt.1794) e diritto (ovest)
continua il sentiero n.6, che mi conduce verso le miniere del
Lac Gelé.
Il mio sentiero sinoltra in una lussureggiante
foresta di pino silvestre e lo seguo volentieri con il mio solito
passo che non è veloce ma nemmeno troppo lento: cerco di
adeguarlo al mio respiro.
Un nutrito numero di uccelli della foresta mi sta facendo
compagnia, sorvolandomi spesso e riempiendo laria di melodiosi
canti. Sono ghiandaie e passeracei diurni che si
spostano veloci tra le fronde della fitta vegetazione.
Il sentiero risale la lunga valle, con direzione ovest, mantenendo
una pendenza costante: solo qualche sporadico tornante rompe
la monotonia di questo lungo traverso.
Sulla sinistra, scorgo il torrente Chalamy che strapiomba nella
bassa vallata e, dopo aver ricevuto notevoli apporti dacqua
dai molti affluenti dei ripiani superiori, forma belle cascate
e piccole pozze dacqua su vari livelli.
Risalendo la parte alta della valle, passo vicino a pareti rocciose
verticali che creano un formidabile bordo al sentiero sulla
sua parte destra; da queste, gronda unenorme quantità
dacqua proveniente da miriadi di piccole sorgenti.
Sulla sinistra, sono sempre più visibili enormi bancate
rocciose, levigate dallazione di antichi ghiacciai, che
si sovrappongono su piani inclinati successivi, che mi accompagnano
per un lungo tratto di cammino, culminando con una piccola cima
molto frastagliata: il Bec Espich (mt.2355).
Ormai sono entrato nella fascia più alta della vegetazione
e, gradatamente, la foresta di pino uncinato, vera rarità
della Valle dAosta, ha occupato il posto di quella più
comune di pino silvestre.
Sembra proprio che il tipo di terreno presente nella parte alta
del Parco, povero di "humus" e ricco di componenti acidi
e di rocce sedimentarie formate da gneiss e da serpentini, unito
al fatto della quota vegetazionale elevata, tra i 1800 e i 2000
metri, abbia favorito la crescita di questo particolare albero
(il pino uncinato), che è riconoscibile dalla corteccia
del tronco di colore grigio-bruno (invece di quello rossiccio
della corteccia del pino silvestre), dalla colorazione degli
aghi verde cupo (piuttosto che il verde smagliante del pino
silvestre) e, soprattutto, dal tipo delle scaglie della pigna
che presentano tipici uncini alla loro sommità e
che forniscono il nome a questa rara varietà.
La presenza di pino uncinato in Italia è rara e,
oltre a questa del Parco del Monte Avic, risultano alcune popolazioni
nella parte centrale delle Alpi lombarde. Fuori
Italia, cè una discreta presenza di foreste di pino
uncinato nei Pirenei.
Oltre i 2000 metri di quota, i pini uncinati riescono ancora
a resistere alle difficili condizioni ambientali, diventando
di piccole dimensioni, come i pini mughi, incurvandosi
sul suolo e divenendo molto più flessibili. Assumendo
questa nuova forma, essi resistono meglio alle cadute dei sassi
e alle slavine invernali.
Alcuni di questi esemplari mignon di pino uncinato, riescono
a raggiungere quote fino ai 2200 metri.
Oltre questa quota, gli alberi lasciano il posto a rare zone
di magro pascolo, quasi sempre presenti nelle vicinanze di torrenti
o di piccoli laghi, o a zone di torbiera indicanti unantica
presenza lacustre.
Più in alto inizia il mondo delle pietraie e delle rocce
verticali.
Salgo gradualmente queste differenti zone, sempre accompagnato
dalle voci di uccelli (qui mi trovo nellareale dei gracchi,
delle coturnici e delle aquile) e dai fischi delle marmotte,
le vere padrone di queste terre alte.
Riesco a vederne qualcuna che è già grassa e robusta
e che presenta un bel mantello color marrone chiaro con venature
rossicce, con alcune parti più scure sul dorso. Qui,
esse si mimetizzano bene tra i dossi di terreno, i ciuffi derba
e, soprattutto, tra le rocce che sono di colore prevalentemente
bruno-rossiccio.
Questo colore, dovuto alla caratteristica ossidazione esterna
delle rocce, mi ricorda che sono entrato in un territorio ricco
di minerali di ferro e di rame.
Sto risalendo appunto le fasce sommitali della valle e, dopo
una serie di tornanti, raggiungo e supero un piccolo valico
entrando così in un nuovo e più piccolo valloncello, con fondo
in leggera pendenza, ricolmo di rocce e di sfasciumi.
Sento uno scrosciare dacqua tra le rocce, ma non vedo
il torrente che proviene dal Lac Gelé e che porta il suo
nome, poichè esso transita sotterraneo in questa zona ed
esce più in basso nella valle formando piccoli risalti.
Mi trovo ormai a circa 2500 metri e sto transitando sotto la
parete sud del Mont Avic, che sintravede a tratti sulla
destra, e noto i contrafforti settentrionali del Mont Envers
du Lac Gelé che scendono verso di me e che chiudono questarea
verso sud.
La particolarità di questa zona consiste nella tipologia
del sentiero, su cui sto camminando, che qui è costruito
con un manufatto in rilevato di pietre a secco, incastrate le
une sulle altre. Questa è lantica pista
per slitte che era utilizzata per il trasporto del minerale
di ferro, estratto dalle miniere adiacenti il Lac Gelé.
Questopera è stata costruita con molta cura: le pietre
sono state scelte scrupolosamente ed incastrate tra loro con
estrema precisione. La pista così costruita
ha funzionato per più di tre secoli, durante i quali notevoli
quantità di materiale sono state trasportate a valle con un
gran numero di slitte.
Quante immagini mi vengono alla mente, camminando su questo
sentiero!
Mi sembra di udire ancora le voci dei minatori e degli addetti
ai trasporti, mentre caricano le slitte con il prezioso minerale
di magnetite e le convogliano sullo stretto sentiero slittabile
con molta attenzione per non fare deragliare la slitta e perdere
il carico! Quali accurate manovre di freno essi devono
eseguire per far compiere alle slitte le curve sui tornanti
e per mantenere una velocità moderata nelle lunghe discese?
La fonderia di Serva lavora a ritmo sostenuto e deve essere
continuamente alimentata con nuovo materiale per la fusione:
allora immagino di vedere le carovane di slitte che portano
il minerale a valle, quelle che, provenendo dalle zone del bosco,
convergono sullo stesso sentiero per portare il loro carico
di carbone, e quelle vuote che risalgono la valle per effettuare
un nuovo carico, fermandosi in alcuni slarghi per dare la precedenza
a quelle cariche in discesa...
Oggi, il sentiero rimane lunico manufatto ancora funzionante
che continua a raccontare la storia di queste antiche fatiche...
Con ancora queste immagini nella mente, sono arrivato ormai
al bordo superiore del valloncello ed il sentiero raggiunge,
con unultima serie di tornanti, uno spiazzo creato artificialmente
dagli uomini della miniera, sorretto (a valle) da un muro alto
3 metri, anchesso costruito con pietre a secco. Si
tratta del piano di carico del minerale, situato vicino
allingresso di alcune gallerie: limboccatura di
una di queste è ancora visibile proprio nei pressi dello
spiazzo.
Essa è posta sul bordo nord del Lac Gelé, e
il suo cunicolo dingresso ha le pareti e la volta costruite
ovviamente in pietra. Provo ad inoltrarmi allinterno
per qualche decina di metri, ma sono sprovvisto di lampada frontale
e quando la caverna si fa scura, ritorno sui miei passi fino
alluscita.
Sono arrivato al Lac Gelé (mt.2600), uno specchio dacqua,
in parte ancora ghiacciato, a forma di fagiolo, che si
trova incassato in una profonda valletta, tra alte pareti di
montagne.
Questo bel lago è difficile da vedere da altre parti del
Parco e, per ammirarlo da vicino, non resta che seguire uno
dei sentieri che lo raggiungono, come il n.6, appunto.
Guardo lorologio e noto che sono le ore 13: ho impiegato
circa 4 ore per effettuare la salita, e ho una mezzora
danticipo sulla tabella indicativa del Parco.
Scendo vicino alle sponde settentrionali del lago per conoscerlo
un po meglio, e capisco perchè è così difficile
avvistarlo da altre zone del Parco, essendo così incassato tra
il Mont Envers du Lac Gelé ed il Mont Iverta. Questultimo
monte corrisponde ad uno dei vertici di confine del Parco stesso.
Dopo un po, risalgo il dosso delle miniere e sulla sua
sommità scorgo un numero notevole di ruderi di antiche
costruzioni, forse proprio quelle che ospitavano i minatori
ai tempi dellattività mineraria. Non molto
distante da questi, sorge una nuova costruzione (del 1989) adibita
a rifugio delle Guardie Forestali (Guardia Parco).
Fa freddo, il cielo è divenuto grigio scuro ed inizia a
scendere qualche fiocco di neve.
Non ho ancora fame, non sono stanco e preferisco camminare ancora.
Sul bordo nord del lago, su un piccolo dosso, un cartello indicatore
segnala la direzione seguita dal sentiero n.6, che qui svolta
a sinistra, prosegue verso sud, raggiunge il Col Medzove (mt.2612)
e quindi la zona dei grandi laghi del Parco (Grand Lac, Lac
Cornu, Lac Noir, Lac Blanc, ecc..). Un altro cartello
indica la direzione di nord-ovest per la salita al Col de Kiva
(o Col de Raye Chevrère, mt.2703) lungo il sentiero n.6A,
con un tempo di percorrenza di soli 30 minuti.
Seguo questultima direzione, come già programmato,
e minoltro su un sentiero che presto diventa unenorme
pietraia. Mi faccio strada tra questi blocchi di
rocce grazie ad alcuni ometti segnaletici e, poco a poco, effettuo
un percorso a semicerchio verso destra, mantenendo praticamente
la stessa quota, contornando la testata di vari valloni ed avvicinandomi
alla parete sud del Mont Avic e alla sua lunga cresta ovest
che termina quasi allaltezza del colle verso il quale
sto dirigendomi. Superata la zona delle pietraie,
piego verso sinistra e, su tracce di sentiero che mimpongono
nuovi tornanti, mi dirigo al colle salendo un pendio prativo,
tra un piccolo rilievo di rocce rotte sulla destra e gli alti
contrafforti settentrionali del Mont Iverta che sostengono il
colle sulla sinistra.
Improvvisamente, uno strano pigolìo, proveniente proprio
dalla sinistra, attira la mia attenzione. Subito
non noto nulla ma, facendo attenzione ai più piccoli movimenti,
noto due grossi esemplari di pernici bianche, dello stesso colore
delle rocce (bruno-grigio con qualche chiazza bianca), che risalgono
la china tenendosi nascosti tra rocce e prato. Mi
fermo e cerco di fare il minor rumore possibile, tiro fuori
la macchina fotografica e scatto qualche foto ma non sono sicuro
che riuscirò ad avere belle immagini di questi elusivi
e rari uccelli di montagna, per via della distanza e per il
loro straordinario mimetismo con lambiente circostante.
Con ulteriori pochi passi su questo pendio, raggiungo il Col
de Kiva. Cè un po di foschia, ma
riesco a vedere ugualmente un vasto panorama verso la Val Clavalité,
lunghissimo e selvaggio vallone che si raccorda alla valle centrale
della Dora Baltea, nei pressi di Fénis.
Questo valico da cui mi affaccio non è l'unico nella zona.
Superando o contornando il rilievo di rocce rotte su piccole
tracce verso destra (nord), raggiungo un nuovo valico di poco
più alto del primo, che si affaccia sempre sulla Val Clavalité
e che si trova spostato più vicino alla cresta ovest del
Mont Avic. Con quello precedente, esso rappresenta
una parte della linea di confine ovest del Parco.
Da questo valico superiore del Col de Kiva, guardando verso
est, davanti a me, si apre un valloncello prativo, ricco di
torbiere e di piccoli laghi, che si allunga proprio sotto la
cresta ovest e la parete sud del Mont Avic.
Questa bellissima montagna che, vista dalla valle centrale
della Dora Baltea allaltezza della statale n.26 oppure
da Champdepraz (comune che comprende il territorio del Parco),
appare come una piramide altissima, slanciata e con la parte
sommitale leggermente curva verso sinistra (sud), da questo
versante appare invece più tozza e con la sagoma meno elegante.
Sono le ore 13 e 40 min. e decido di avvicinarmi al monte.
Scendo dal colle e risalgo il valloncello sospeso avvicinandomi
ad un primo laghetto. Tutta la zona è praticamente
una torbiera ed il terreno erboso è soffice e spugnoso.
Man mano che avanzo, la morfologia di questa zona si fa
più chiara: un enorme conoide di sfasciumi, provocato dal
crollo di una notevole porzione della cresta ovest del Mont
Avic, blocca il valloncello e lo separa dagli alti strapiombi
che precipitano dalla parete sud del monte verso la sottostante
valle del torrente del Lac Gelé che ho appena risalito.
Mi dirigo verso il conoide di sfasciumi, transitando vicino
a piccoli specchi dacqua e, improvvisamente, mi blocco
vedendo davanti a me un bellissimo esemplare di stambecco. Anche
lui mi ha notato... Faccio una prima foto allanimale
che è fermo in mezzo alla valle, vicino ad una piccola
pozza dacqua, mentre mi guarda tranquillo da una distanza
di circa 80 metri.
Mi avvicino un po e allora lo stambecco, con molta
calma, si sposta verso sinistra e risale le balze del monte. Guardo
in quella direzione e finalmente vedo il resto del branco: altri
7 esemplari che brucano pigramente a mezza costa tra roccette
e prato. Lesemplare a me più vicino, evidentemente
il capo-branco, raggiunge i suoi simili e li conduce in una
zona più alta e più distante dallitinerario
da me seguito. Poi, tutti si fermano e mi guardano
transitare.
E un bel gruppo di animali, relativamente giovani (noto,
infatti, il numero limitato di nodi sulle loro corna) e mi sembra
strano di trovarne tanti insieme e tutti in una stessa zona.
Al Museo mi era stato detto che nel Parco vivono
circa 200 camosci ma pochi esemplari di stambecco, tutti provenienti
dalle zone del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Che siano tutti radunati qua?!
Seguìto da molti occhi, inizio a salire il conoide di sfasciumi
che mi porta in direzione della breccia sulla cresta ovest del
Mont Avic.
La salita è ripida, faticosa e richiede molta attenzione
nello scegliere litinerario giusto, poichè, man mano
che si guadagna quota, questo sfasciume presenta alcuni lati
scoscesi e sempre più strapiombanti.
Fortunatamente, tra le rocce si notano alcuni ometti segnaletici
in pietra e rare tracce di sentiero.
Solo nellultima parte, il sentierino diventa più
evidente e permette di raggiungere la sella sulla cresta ovest,
dopo numerose svolte e tornantini.
La breccia sulla cresta e le sue zone adiacenti non sono per
niente luoghi "accoglienti": questi dirupi sono composti
da rocce rotte di colore bruno-rossiccio scuro, che si sovrappongono
in un equilibrio instabile.
Vedo spesso cadere sassi su questo versante della montagna e
sento provenire sordi rumori e scricchiolii anche dallaltro
lato.
Il sentiero finisce definitivamente su questa sella, a circa
2900 metri di quota. Mi affaccio un attimo e riesco a vedere
il panorama sul lato nord, abbastanza esteso ma chiuso dal Mont
Revi (mt.2923) e dal Col Varotta (mt.2591) aldilà di unaltra
vasta zona di pietraie dal colore rossiccio.
Inizio ad arrampicare lungo la cresta ovest facendo molta
attenzione alle rocce instabili ed al "brecciolino" che
ricopre gli appigli ed i punti dappoggio dei piedi: scivolare
qui significherebbe avere la certezza di fare un bel volo di
circa 300-400 metri sul lato sud o su quello nord del monte.
Il panorama è stupendo ma sono concentrato sulla salita
e la mia attenzione è assorbita dalla sequenza dei passi
da fare e dagli spostamenti necessari su un versante e sullaltro;
riesco a scattare solo poche foto di queste zone.
La mia progressione è lenta poichè sono solo e privo
di ogni attrezzatura da roccia. Larrampicata
non è difficile ma lutilizzo di un casco e di uno
spezzone di corda di almeno 10 mt. di lunghezza, sarebbe stato
di valido aiuto.
Le ore scorrono veloci e le condizioni atmosferiche si mantengono
sul brutto, fa freddo e continuano a cadere fiocchi di neve.
Supero a fatica un ultimo risalto roccioso, sormontato da un
cartello indicatore del limite del Parco (chi mai è andato
a fissarlo proprio lì?!), e sono in vista della vetta.
Con un breve percorso di cresta, prima in discesa e poi in salita,
raggiungo finalmente la cima principale del Mont Avic (mt.3006),
sulla quale è presente un palo (forse per il fulmine?)
e una piccola statua della Madonna.
Sono le ore 15 e 10 minuti circa e finora ho camminato,
quasi continuamente, per più di 6 ore.
Sono soddisfatto di come ho proceduto finora.... Ora la parte
più difficile è superata e vorrei restare in vetta
il più a lungo possibile, per ammirare questo eccezionale
panorama a 360°. Se non ci fossero nuvole basse,
potrei riconoscere benissimo tutte le cime del Parco e quelle
più importanti della Valle dAosta, anche molto distanti
da questa zona.
Il tempo è sempre sul brutto e sto pensando alla discesa.
Conosco bene la situazione delle rocce del versante nord (per
esserci già salito e sceso altre volte) e sono preoccupato
per la presenza di nevischio: se la situazione peggiorasse o
se, addirittura, iniziasse a piovere, allora diventerebbe complicata
la discesa anche su questo lato del monte.
Dopo un brevissima sosta in vetta, decido quindi di scendere
dal monte lungo la sua cresta est e poi per il suo versante
nord. In queste condizioni atmosferiche (e di orario), non me
la sento di arrampicare in discesa sulla cresta ovest appena
salita, sarebbe tra laltro troppo rischioso.
Mi dirigo allora verso la cresta est che scende verticale verso
unanticima daltezza leggermente inferiore (che non
si nota quando si guarda il profilo della montagna dal fondovalle)
e faccio molta attenzione ai sassi mobili, abbondanti anche
qui.
Nella depressione tra le due cime ci sono ripiani con rocce
montonate che si possono scendere seguendo una specie di scalinata
naturale. Perdo quota, poco a poco, sfruttando questi passaggi
e cercando di guardare più in basso possibile per capire
se sto seguendo il percorso giusto oppure se sto dirigendomi
verso uno strapiombo, che mi bloccherebbe il passaggio. Con
molta pazienza e prudenza riesco a scendere da un ripiano allaltro
ed a raggiungere la base della vetta sul versante nord, mettendo
piede su una gigantesca pietraia che ha una pendenza minore.
Sul bordo destro di questa pietraia (verso est), non molto
distante dagli strapiombi di questo lato della montagna, ritrovo
tracce di sentiero e ometti segnaletici in pietra, che mi permettono
di tenere la direzione e di attraversare questo enorme ammasso
di rocce, facendomi perdere ulteriore quota e permettendomi
laccesso in un altro più piccolo vallone sassoso.
Scendo quindi in questo nuovo vallone, tenendomi il più
possibile sulla destra, vicino cioè al filo di cresta del
monte che va a formare, più in basso, una piccola crestina
formata da roccia e sfasciumi, che racchiude tutta questa zona
sul lato destro. Proprio al centro di questa crestina, noto
la presenza di una piccola sella, poco visibile, raggiunta da
tracce di sentiero che risalgono lo sfasciume presente sul lato
che sto scendendo.
Dallaltro lato della crestina che forma una dorsale,
più in basso e a destra - verso sud-est, riesco a scorgere,
a tratti, la mia prossima meta: si tratta di una piccola
conca prativa che contiene due laghetti; essa si trova proprio
sotto la verticale parete est dellanticima del Mont Avic,
ed è verso questarea che cerco di indirizzare la
discesa.
Scendo con circospezione tra un sasso ed un altro, facendo allenamento
di equilibrismo, cambiando spesso il percorso e continuando
a perdere quota.
Cerco sempre di tenermi sulla destra evitando però gli
enormi salti presenti su questo lato, formati da scuri lastroni
verticali (di pietre verdi?).
Finalmente, dopo un ultimo traverso nella pietraia, mi trovo
proprio sotto la piccola sella, al centro della dorsale
rocciosa vista dallalto.
Seguo le evidenti tracce di sentiero, di colore rossiccio, che
risalgono lo sfasciume che ha un uniforme colore più scuro
(sembra un grigio scuro della stessa tonalità di quello
delle lastre di ardesia: lose nel dialetto locale).
Dopo alcune decine di metri di salita, tra detriti sempre più
fini, raggiungo la selletta.
Una veloce discesa su uno sdrucciolevole scivolo (non si può
proprio chiamare sentierino) mi consente di raggiungere la conca,
nella zona prativa che separa i due laghetti.
E fatta! Sono fuori dei pericoli ormai!...
Posso fermarmi un attimo e prendere fiato.
Guardo in alto, seguo con calma tutta la linea di discesa seguita
e mi rendo conto che, in alcuni punti, sono transitato molto
vicino a notevoli strapiombi.
Questa è la mia variante di discesa! Non
so se altre persone la conoscano o labbiano già percorsa
esattamente come ho fatto io!
Lalternativa a questo mio itinerario di discesa, sarebbe
stata quella di seguire il percorso "standard" della
cresta nord del Mont Avic, che collega questo monte al Col Varotta,
e poi scendere a valle lungo il sentiero 7; ma in questo caso
avrei dovuto fare un giro molto lungo e più pericoloso,
dovendo attraversare lintera enorme pietraia fino al colle.
Litinerario "standard" sarebbe costato circa 1
ora in più di cammino rispetto al mio.
Inoltre, vicino al Col Varotta, ci sono altri scoscendimenti
rocciosi difficili e pericolosi da superare, che suggeriscono
di non seguire il filo della cresta nord, ma di tenersi più
allinterno nella pietraia.
Naturalmente, camminando più a lungo in una pietraia, aumentano
i rischi di cadute con relative contusioni alle gambe., alla
schiena, ecc.
Ecco perchè, quando mi trovo su questo lato della montagna,
preferisco seguire mie varianti personali del percorso!
Riprendo il cammino finalmente su prato, e mi dirigo verso sinistra
(est) per raggiungere il bordo della conca. Supero
il bordo del lago più orientale, fino a raggiungere un nuovo
risalto verso valle.
In basso, sempre verso est, noto un altro valloncello contenente
un piccolo lago, sulla sponda nord del quale si notano tracce
di sentiero.
Quella è la mia nuova meta!
Sulla parte centrale del bordo della conca dove mi trovo, ci
sono altre tracce di sentiero che mi permettono di scendere,
gradualmente, il nuovo gradino della montagna, però in
una zona prativa ricca di rododendri in fiore.
Sento nuovamente, e con grande piacere, gli assordanti fischi
delle marmotte che si affacciano su qualche roccione a guardarmi
e poi scappano veloci nelle tane (sono così veloci che
non sono riuscito a fotografarne nemmeno una delle cinque avvistate
durante lintera giornata escursionistica).
Dopo tante pietraie, è veramente piacevole e rilassante
seguire questo sentiero che si snoda tra praterie e torbiere.
Il territorio che sto attraversando ora è popolato di rododendri
e di molti altri fiori colorati, che emergono da uno spesso
e soffice strato di erba verde brillante.
Finalmente raggiungo la valletta con il piccolo lago e transito
lungo il suo lato nord fino a raggiungere il bordo verso valle
di questo nuovo pianoro.
Sulla mia sinistra, sotto i contrafforti rocciosi che collegano
il Mont Revi al Mont Barbeston e che rappresentano il confine
nord del Parco ma anche il bordo settentrionale di un vero contenitore
naturale di tutta questa zona, noto che i vari valloni pietrosi
della parte alta sono confluiti in un unico vallone ricco di
praterie che è solcato dal sentiero n.7.
Questultimo è ben evidente in mezzo alla valle e
si trova ad un centinaio di metri più in basso, rispetto
al ripiano dove mi trovo.
Dal bordo di questo ripiano, scende un piccolo sentiero, ben
tracciato, che percorre molti tornanti su quest'ultimo risalto
e raggiunge, sulla sinistra in un prato pianeggiante, il sentiero
n. 7.
Mentre minoltro su questo sentiero ed attraverso una folta
e colorata zona di rododendri, scopro unaltra delle sorprese
che il Parco mi ha riservato in questa escursione: due giovani
camosci, col mantello marroncino chiaro, scattano a pochi metri
da me. Sono apparsi sul bordo del ripiano, scendono in corsa
(da sinistra verso destra), e penetrano velocemente in un altro
vallone sulla destra, dileguandosi rapidamente dalla mia vista.
Raggiungo finalmente il sentiero n.7 attorno ai 2100 metri di
quota.
A questa quota comincia ad intensificarsi la presenza dei pini
"mughi", che qui sono rappresentati dalla forma "prostrata"
del pino uncinato.
Sono contento e provo un grande piacere nel poter camminare
di nuovo su un bel sentiero! E poi in discesa!
Esso non ha niente a che vedere con gli sfasciumi e i dirupi
che ho attraversato prima.
In questa zona, il sentiero perde quota dolcemente ed è
veramente rilassante seguirlo, specie quando si è un pò
stanchi!
Io, in effetti, comincio ad avvertire qualche doloretto alle
articolazioni ma la camminata è ancora lunga ed il dislivello
da superare è ancora notevole.
Gradatamente, penetro sempre di più nel folto della foresta
di alte conifere e ciò contribuisce a mantenere una buona
ombreggiatura sul percorso, anche se oggi non serve, poichè
per tutta la giornata il cielo si è mantenuto prevalentemente
coperto. Fortunatamente non è piovuto ed è anche
cessato di cadere il nevischio che mi aveva preoccupato durante
lattraversamento delle balze più alte.
Scendo sempre di più nella foresta e, dopo una lunga traversata,
raggiungo la fraz. Pra Oursie a mt. 1794 di quota, composta
da case rurali e da ricoveri per animali, adagiati su un bel
poggio prativo, libero di alberi e con una vista stupenda sulle
valli del Parco. Qui trovo una persona che sta accudendo ai
tradizionali lavori nellalpeggio e mi fermo un attimo
per scambiare due chiacchiere e per bere un pò dacqua
fresca alla fontana presente nel cortile davanti alla casa rurale.
Questo alpeggio rappresenta un punto importante per linterconnessione
dei vari sentieri di questa zona.
Nei pressi dellalpeggio un cartello indicatore segnala
la direzione per scendere alla località Magazzino (mt.1461),
lungo il secondo ramo del sentiero n.7 e raggiungere la zona
dove arriva la carrareccia da Veulla ed inizia il vero
sentiero n.6.
Dallalto, riesco ad intravedere alcuni tetti delle casupole
presenti in quel luogo.
Poco oltre lalpeggio, a circa 150 metri verso est, cè
un altro bivio che permette la salita al Col di Valmeriana e
al Mont Barbeston, lungo il sentiero 7B. La prosecuzione di
questo sentiero verso valle (piegando a destra, verso sud-est)
è il primo ramo del sentiero n.7 che porta direttamente,
ma ripidamente, nei pressi della base di partenza.
Potrei scendere alla fraz. Magazzino sul sentiero più dolce
che parte vicino allalpeggio, ma questa scelta mi obbligherebbe
poi a fare un più lungo percorso a ritroso, una volta raggiunta
la frazione a valle, per ritornare a Veulla.
Salutata la persona dellalpeggio, decido quindi di scendere
per il sentiero n.7, più ripido ma più veloce, sperando
nella tenuta delle gambe e dei piedi. Mi inoltro nuovamente
in una fitta foresta (questa volta popolata da pino silvestre)
ed inizio a perdere velocemente quota seguendo moltissimi ripidi
tornanti.
Man mano che scendo, aumenta il numero di cartelli indicatori
del Parco che segnalano le particolarità di questa zona:
ne incontro uno che spiega i nomi di alcune piantine tipiche
che crescono a ridosso di un muretto a secco, più avanti
ne vedo un altro che indica una nuova area adibita a carbonaia,
ecc..
Con una ripida discesa a mozzafiato, che mette a dura prova
la resistenza delle gambe e delle ginocchia, raggiungo finalmente
il ripiano della valle del torrente Chalamy ed il bivio con
lampia carrareccia che giunge dalla fraz. Magazzino e
dal sentiero n.6.
Ho chiuso così il grande anello di questa lunga escursione
e non mi resta che rientrare a Veulla, e poi a Covarey dove
ho parcheggiato l'auto.
Con pochi passi sono sulla bella carrareccia mineraria, svolto
a sinistra (verso est), nuovamente la seguo volentieri ritrovando
i ponticelli e la parte con fondo lastricato e, in pochi minuti,
supero le varie frazioni della località di Chevrère,
fino a raggiungere quella di Covarey, dove mi fermo.
Mi accorgo che il Museo è ormai chiuso.
Sono le ore 18 e 30 minuti, e sono arrivato solamente
unora dopo il suo orario di chiusura.
Naturalmente sono saltati gli orari previsti inizialmente e
lappuntamento con la signorina del Museo, ma sono contento
lo stesso per essere riuscito a compiere questa bella escursione,
ben più ampia e complessa di quella programmata.
Mi dirigo verso un lavatoio, sistemato poco più avanti
del bar sullangolo del piazzale e vedo che la gente, seduta
ai tavolini, mi sta guardando con strani sguardi...
<Bah!, sarà che sono sporco, sudato e che forse puzzo
un po?!> penso io, mentre mi avvicino al lavatoio,
mi tolgo lo zaino e gli indumenti bagnati dal sudore ed inizio
il lavaggio delle braccia e del torso con lacqua gelida.
<Oppure, avrò avuto una faccia scurita e stravolta
dalla fatica!> penso mentre, tolte le calze ed eliminati
i cerotti dalle dita dei piedi e dai calcagni, tuffo gambe e
piedi sotto il getto dacqua che esce dallo stesso lavatoio,
e li strofino bene per effettuare un forte massaggio ed assicurare
un meritato refrigerio ai veri protagonisti di questa
avventura.
Poi, mi rivesto con indumenti asciutti, sistemo il materiale
nellauto e finalmente entro nel bar per bere la sospirata
birra ghiacciata.
Solo allora mi accorgo di sorridere mentre cerco una ragione
<...sta a vedere che queste persone, nelle condizioni
in cui mi hanno visto arrivare con i due bastoni ed i pantaloni
alla zuava, mi hanno scambiato per un pastore disceso
a valle!> e mi sembra sensata se penso alla situazione
simile in cui mi ero trovato poco prima <...forse mi hanno
scambiato proprio per un pastore, così come ha fatto quel
numeroso gruppo di capre che mi ha inseguito, da Pra Oursie
verso valle, per un paio di chilometri, e con tanto di orchestra
di campanacci al seguito!>.
E, infatti, così pareva, poichè dopo aver gridato più
volte nella loro direzione <Scio scio, andate
via, tornate indietro a casa vostra>, sono riuscito a
scrollarmele di dosso solo con una precipitosa fuga e con qualche
trucco escogitato al momento per nascondermi alla loro vista.
Ma quel sorriso strano stampato sulla mia faccia, e non rivolto
ad una persona in particolare, non avrà forse convinto
ancora di più gli avventori del bar nella loro primitiva
idea? <Sì!, Questo qui è proprio un pastore, un po
deficiente però!>.
Questa è stata lultima delle sorprese che
il Parco del Mont Avic ha voluto riservarmi questanno,
durante questo nostro periodico incontro.
Enea Fiorentini <Cronaca
dellescursione e dellarrampicata al Mont Avic -
nel Parco Naturale Mont Avic (Valle dAosta)>
|