Quel che segue non è tanto il racconto
dell'impresa epica e irraggiungibile di Gianfranco Corradini,
invalido senza una gamba sulla vetta del Monte Bianco, ma la
mia personale, che a 43 anni suonati mi sono ritrovato, due
anni fa, a dover scalare il Tetto d'Europa praticamente senza
allenamento.
Ingaggiato come cameraman ufficiale, ho dovuto fare le riprese
video senza elicotteri, muli o portatori.
Tutto a pedagna insomma!
Ecco il resoconto di quelle due mitiche giornate...
Venerdi 13 agosto 1999
Partenza da Trento ore 2.00
Arrivo a Chamonix ore 7.30, e ricongiungimento con la
nostra guida alpina che era già sul posto, il mitico
e
fortissimo Roberto Daz. Ci portiamo a St. Gervais Les
Bains, ove c'è un trenino-cremagliera che sale fino a
2.300 metri sul versante ovest del massiccio del Monte
Bianco.
Di qui attacchiamo il sentiero che porta al Rif. Tete Rousse
a 3.167 metri, e quindi la bestiale parete di sassi e sfasciumi
che s'inerpica fino al Ref. de l'Aig. Gouter, a ben 3.817 metri.
Resisto benino fino a 3.000 metri. A 3.300 con mia grande meraviglia
mi svolazzano intorno delle farfalle.
Allucinazioni d'alta quota?
Mah!
Con la quota e la fatica ognuno (siamo 8 in tutto) piglia il
suo passo e ci disperdiamo.
Allucinazioni o no, complice il mio deplorevole allenamento,
comincio ad andare in crisi; accenni di crampi, una sete della
madonna, le forze -e il fiato!- che calano a vista d'occhio.
A quota 3.500 il mio altimetrino Casio va in "FULL"
e subito dopo anche io.
Scoppio come un palloncino insomma.
Sono improvvisamente senza forze, mi gira la testa, ho sonno,
se ci fosse un letto mi ci butterei dentro a pesce.
Provo a resistere ma niente, ogni 10 passi devo fermarmi e rifiatare.
Arrivo faticosissimamente a 3.600, vedo il rifugio in cima a
un picco roccioso che ci sovrasta, sembra lì a due passi
ma saranno invece 200 metri di calvario.
Mi devo fermare più volte, devo bere.
Riparto ma ri-crollo poco dopo, mi rifermo a mangiare qualcosa.
Guadagno altri cento metri, 3.700, lo stramaledetto rifugio
sembra vicino e allo stesso tempo stramaledettamente lontano.
Gli ultimi duecento metri sono attrezzati, una specie di ferrata.
Uno degli accompagnatori che nel frattempo era arrivato in cima
scende a vedere come me la passo :(
Mi prende lo zaino per alleggerirmi. Mi gira la testa, poco
dopo arriva il capo guida-alpina che mi aggancia una corda per
sicurezza.
Risalgo gli ultimi 100 metri di dislivello che mi separano dal
rifugio con "l'aiuto morale" del mitico Daz; mi sento
un po' rinfrancato, mi tornano un po' le forze grazie ai "beveroni"
energetici e alle barrette di Muesli con cui mi sono ingozzato
per recuperare :D
Arrivato in cima ansimante, scatta la foto di rito con applauso
pietoso :D
Cacchio, 3.817 metri, è il mio record personale :D
Il precedente era il Cevedale, a 3.769, ma risalente a vent'anni
fa, quello più recente l'anno prima, il Vioz a 3.600
e rotti.
Mangiamo piuttosto in fretta, bisogna andare subito a nanna
perché domani la sveglia è alle 1.30 :(((
Dopo cena, subito dentro il camerone-dependance a guadagnarsi
un letto per la notte.
Illusione. È tutto pieno, ci dobbiamo stringere l'un
l'altro, otto in cinque posti :(((
Sabato 14 agosto
Ref. de l'Aig. Gouter m. 3.817
Alle 1.15 (una e quindici!!!) i fastidiosi cicalini degli orologi
rompono il silenzio nel buio del bivacco.
Alzarsi, lavativi! Inizia la laboriosa vestizione alla luce
delle lampade frontali tra una marea di zaini, scarponi spaiati,
calzettoni, picozze ramponi e caschi ammassati nell'atrio.
Appena messo il naso fuori, l'orrore: un ventaccio tremendo
sferza i lamieroni del rifugio e fa "ululare" le scalette
e le passerelle di metallo. Freddo cane, saranno una ventina
di gradi sottozero. Qualcuno scurisce in volto: 20 sotto qui,
figuriamoci in cima...
C'è chi non ha chiuso occhio per la quota, chi accusa
nausee e mal di testa feroci.
Facciamo colazione veloci, una ragazza che ci accompagna non
riesce a mangiare e bere nulla per la nausea.
Io ho dormito quasi come un sasso (non foss'altro perché
il giorno prima avevo dormito appena 3 ore) ma in compenso avevo
un discreto mal di testa.
Mi passano un Aulin.
Partiamo in 3 cordate distinte: una col mitico Daz e l'attrettanto
mitico Corradini, che s'appresta a salire il Bianco senza una
gamba con il solo aiuto delle stampelle!
L'altra col cameraman (me medesimo, aiutato dai fortissimi Giulio
e Ivan), un'altra di appoggio.
Imbacuccati come palombari rimontiamo un costone ripidissimo
di neve e, d'improvviso, ci si apre un paesaggio fiabesco: una
lunga fila di lucine (lampade frontali) proseguono in fila indiana
lungo i giganteschi costoni bui del Monte Bianco, il Tetto d'Europa.
Là in basso, le luci del fondovalle.
Vediamo le comete solcare i cieli quasi al rallentatore, in
una volta stellata così nitida che pare dipinta...
Un colpo d'occhio da non dimenticare.
Interrogativi angoscianti mi attanagliano: resisterò
al freddo? All'alta quota?
Alla fatica dopo lo sforzo di ieri?
Avrò altri disturbi?
Al rifugio la sera prima se n'erano sentite di tutti i colori:
svenimenti, nausee, tachicardie, infarti, emboli ... :(
Stranamente mi sento benino, l'Aulin mi ha fatto sparire il
mal di testa in cinque minuti.
Ci avviamo lungo la traccia che si inerpica su un costone, scoprendo
sbalorditi dentro a dei buchi nella neve delle tende! (BRRR!).
Mano a mano che saliamo cerco di calcolare mentalmente la quota
guadagnata guardando ogni tanto il rifugio sotto di noi.
Ecco, siamo a 3.900, procediamo in lunghe file indiane su delle
discrete rampe...
Qualcuno annuncia il superamento dei 4.000 metri.
Altro record personale!
A 4.100 metri arriviamo sul crinale investito da venti impetuosi.
Piedi a mani cominciano subito a gelare.
Ci si vede a malapena, turbini di neve come migliaia di aghi
scagliati in faccia ci costringono a procedere col capo chino,
come penitenti...
Si mette male, la forze calano rapidamente anche perché
i miei compagni di cordata vanno troppo forte per i mei gusti.
Si mettono davanti a trainarmi un po'.
Ma è peggio: perché invece che salire col mio
passo vengo continuamente "strattonato" in avanti,
obbligandomi a rompere il ritmo e a fare quindi più fatica.
Ma i due "muli" davanti non sentono ragioni e continuano
a tirare come treni.
A 4.360 metri c'è il bivacco Vallot, uno squallido cubicolo
aggrappato su un roccione dove fanno tappa praticamente tutte
le cordate in salita e in discesa.
Dentro è uno schifo: vomito per terra, immondizie, puzza
d'urina micidiale e, last but not least, una ressa da metropolitana
di Tokyo nell'ora di punta.
Ci rifocilliamo alla meno peggio, ci scaldiamo un po', mangiamo
qualcosa e buttiamo giù i soliti beveroni energetici.
Io sono ridotto a uno straccetto.
Mi stravacco su un cumulo di zaini per dilaniare tosto uno schifosissimo
muesli... :(
"Non mangiare sdraiato" mi fa il capo-guida "ti
rimane sullo stomaco".
Ha ragione.
Eseguo e mi metto faticosamente seduto.
Sento che mi si è allentato uno scarpone, ma non ho nessuna
voglia di togliere il rampone, la ghetta ecc.
La mia piletta frontale ha esalato, anche lei, l'ultimo respiro.
Ci rivestiamo da palombrari e mezz'ora dopo siamo di nuovo fuori
al gelo della bufera.
Sto un po' meglio, ma le prime rampe mi stroncano di nuovo.
Devo continuamente fermare i miei due compagni per rifiatare.
Mi dicono di stringere i denti, di fare passi corti eccetera.
"Andate tutti affanculo" mi verrebbe da rispondere
in un momento di scoramento.
Mi manca completamente il fiato, altro che stringere i denti!
Allora me ne frego, e quando voglio fermarmi mi pianto con
le gambe e li inchiodo tutt'e due finché non decido io
quando si riparte.
Proseguiamo così, con decine di "stop and go",
ma è l'unico modo per non scoppiare, anche se "i
due muli" davanti mordono il freno.
Loro sono troppo forti per me, e hanno un passo che io non mi
posso permettere.
Siamo a 4.400, il vento non accenna a diminuire anzi, e' l'ora
peggiore.
Sta albeggiando e il freddo è micidiale.
Spettacolare il sorgere del sole, che con le sue lame di luce
illumina le guglie incredibili dell'Aguille Du Midi.
Aumenta il vento, il paesaggio sembra sempre più un girone
dantesco coi "dannati" che vagano nell'inferno bianco
della bufera.
Non sento più le dita delle mani: devo fermarmi spesso
e far vorticare le braccia per fa affluire un po' di sangue.
Facciamo pochissime riprese, fermarsi in quelle condizioni e'
un'impresa.
Non si vede quasi niente, la neve ti punge la faccia e gl'occhi,
le mani doloranti per il freddo...
Lavorare in questa situazione è davvero pesante: dobbiamo
precedere la cordata di Corradini, trovare il posto per fermarsi
e preparare la ripresa (giù gli zaini, via gli occhiali,
via i guanti, fuori la camera, piazzarsi bene, fuori le batterie,
collegare il cavo di alimentazione, pronti via ecc).
Le batterie che Ivan tiene in un apposito marsupio sotto la
giacca al riparo dal freddo perdono energia a vista d'occhio.
Sono terrorizzato dalla prospettiva di arrivare in cima senza
batterie.
Tutta la faccenda delle riprese funziona grosso modo così:
noi si va avanti, poi quando la cordata di Corradini arriva
facciamo finalmente la ripresa.
Ma poi non è che loro stanno lì ad aspettare noialtri,
vanno avanti e se ne fregano.
Noi dobbiamo rimettere a posto le nostre cose in fretta e furia,
ripartire, *raggiungere* la cordata e superarla di nuovo.
Ma a quella quota, cazzo, mica è facile!
Ne abbiamo pieni i coglioni (io perlomeno) a salire, figuriamoci
a fare "l'elastico" ad oltre 4.000 metri!
Saliamo ancora su rampe micidiali, tutte in cresta, col vento
di traverso che ci fa sbandare pericolosamente...
Arriviamo a 4.400, 4.500, 4.600; ancora ducento metri di calvario,
la cima è lassù, ormai vicina...
Col cavolo!
Solo duecento metri di dislivello, ma sembrano aumentare ad
ogni passo invece che diminuire.
Superiamo molte cordate ferme, ansimanti anche loro come mantici...
Resto senza fiato parecchie volte anch'io, devo fermarmi a
respirare piegato in due sui bastoncini.
Non posso farlo col naso, come mi consigliano (setto deviato),
e allora devo fare iperventilazione con l'arietta fresca a 30
sotto zero.
Dopo aver inanellato "record personali su record personali"
:D, arrivo all'ultima rampa a 4.700 metri.
Dai cacchio che ci siamo!!!
Stringo i denti, le chiappe, tutto.
Avanti porco mondo!
Avanti passo dopo passo, mezzo scarpone alla volta...
Dopo circa un secolo il crinale comincia a spianare e alzo la
testa: alle ore 7,30 sbuchiamo finalmente in vetta:
4.810 metri!!!
Fanculo, siamo sul Tetto d'Europa!
Dopo circa un quarto d'ora di attesa e di sofferenza per il
vento e il gelo bestiale, arriva finalmente la cordata di Corradini.
Anche lui è bello cotto, ma ce l'ha fatta anche stavolta.
Giù il cappello, sul Monte Bianco senza una gamba!
È stato divertente vedere lo sbalordimento degli altri
alpinisti quando l'hanno visto arrivare in cima con le stampelle
(delle speciali stampelle con due rotelloni chiodati).
Erano tutti a bocca aperta, e molti di quelli che credevano
d'aver compiuto un'impresa si sono improvvisamente vergognati
come ladri... :D
Facciamo le riprese alla meno peggio, col vento che ci sbatte
a destra e sinistra, le nevischiate violente in faccia, corde
che volano dapperutto, le mani che non le senti più...
Fatte le foto di rito e via, leviamo le tende prima di congelare
definitivamente!
Tutt'intorno brutti nuvoloni neri incombono minacciosi.
Farsi bloccare lassù col maltempo significa rischiare
la pelle.
Scendiamo velocemente di quota.
Quando arriviamo al bivacco-cesso cala il vento e spunta fuori
il sole :(((
Fanculo!!!
Ci riposiamo un po' e rifiatiamo.
Tiro fuori il bottiglione d'acqua dallo zaino: incredibile,
ci sono dentro i ghiaccioli!
Il tempo continua a cambiare, ma non promette nulla di buono.
Dopo alcune ore di marcia rientriamo al rif. Aig. Du Gouter
a quota 3.800.
Beviamo un tè, mangiucchiamo qualcosa.
Quindi di nuovo in marcia :(((
Dobbiamo scendere a 2.300 metri, per pigliare l'ultima corsa
del trenino che ci porterà a St. Gervais, alle 18.00.
Quando arriviamo a 3.300 metri, dove c'è il famoso "canalino
della morte" (una decina di morti all'anno!), c'è
un ferito.
Una ragazza è stata travolta da delle pietre.
Pare grave, ci sono tre elicotteri che ci svolazzano intorno.
Non abbiamo tempo per assistere al recupero.
Passiamo rapidamente, uno alla volta, il canalino, guardando
spesso in alto che non arrivino sassi e altri oggettini poco
gradevoli.
Attraversiamo indenni il canalino della morte, alle 17.30 dopo
un'altra bella scalcagnata siamo finalmente al trenino.
Dopo un'ora di "amico treno-cremagliera" siamo finalmente
in paese, pigliamo le macchine e scendiamo a Chamonix, distrutti.
Ci fermiamo a mangiare qualcosa.
Alle ore 10 circa ci rimettiamo in moto per il rientro alla
base.
Alle ore 4.00 del giorno successivo, cioè a notte fonda,
arriviamo a Trento.
by AGH
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