Hi Norbert Are you ready for the weekend?
Sorry, no Gran Paradiso this weekend, the snow is still too fresh.
Maybe next weekend it will be better.
Anyway, why not the Breithorn (western and central) on saturday?
I'm considering the possibility to do part of the ascension with
snow shoes,
let me know what do you think!
Bye, Valter
Con Norbert si comunica soprattutto via e-mail, e cosi' si combinano
le uscite da una settimana all'altra. Norbert e' tedesco ed e' in
Italia per lavoro. Ci siamo conosciuti in cima al monte Orsiera,
in val di Susa. Quel giorno avevo appena percorso con Michela, la
mia compagna, una classica via di roccia sulla cresta nord-est,
la via Dumontel. Era la nostra prima esperienza di questo genere
e mi sentivo molto orgoglioso per averla completata senza difficolta'.
In cima, sotto gli sguardi degli escursionisti che ci avevano visti
arrampicare, mi sentivo soddisfatto e mi godevo un momento di inaspettata
popolarita'. Cosi' avevo attaccato discorso con Norbert, ovviamente
in inglese dato che lui non conosce l'italiano, ne' io il tedesco.
Poi le prime escursioni, le arrampicate in falesia e non, ed infine
eccoci, a distanza di sei mesi, ad affrontare il nostro primo 4000
insieme.
Sulla cabinovia che da Plan Maison ci porta a Cime Bianche ci soffermiamo
a rimirare la Cresta del Leone, in questa mattina di sabato 26 gennaio.
Quando lo guardi da questa prospettiva, il Cervino, non puoi sfuggire
ad un sentimento di inquietudine. La linea di cresta si staglia
netta contro il cielo terso, e da qui si possono riconoscere alcuni
dei punti chiave della salita: la Gran Torre, il Pic Tyndall, la
Cravate, la Testa del Cervino...
Mi sembra addirittura di riconoscere in uno stretto intaglio la
famosa Enjambee, ma forse e' la mia immaginazione. Di qui e' passata
la storia dell'alpinismo: i Carrel, i Whymper, i Bonatti solo per
citare i piu' famosi. E intanto che penso a queste cose mi accorgo
di quanto vuoto c'e' intorno alla montagna: ecco svelato il motivo
della mia inquietudine.
So per esperienza che le montagne fanno molta piu' impressione
se viste da sotto o di lato che non standoci sopra, tuttavia li'
di vuoto ce n'e' davvero tanto, lo stesso vuoto che ha prima ingoiato
quattro compagni di Whymper e poi via via tanti altri, piu' o meno
noti. Eppure l'idea di salire mi attrae irresistibilmente; per uno
come me sarebbe sicuramente l'impresa di una vita, anche se ci salgono
centinaia di persone all'anno. Chissa', forse, prima o poi...
Norbert, accanto a me, forse ha gli stessi pensieri mentre guarda
assorto la Cresta del Leone.
"It's a windy day!", esclama poi indicando i turbini
di neve che il vento solleva dalle creste. Beh, le previsioni davano
nuvole mentre siamo in pieno sole, non vorremo lamentarci per un
po' di vento... Ma lo stesso vento che solleva la neve dalle creste
da qualche parte la dovra' pur depositare, ed e' proprio per questo
motivo che sono contento di essere qui con le racchette da neve.
Camminare con i soli scarponi in mezzo a cumuli di neve ventata
infatti e' quanto di piu' penoso possa immaginare. La scorsa domenica
ho interrotto la salita al Gran Paradiso a 3300 metri proprio per
questo motivo. Non ne potevo piu' di sprofondare nella neve.
A causa del vento l'ultimo tronco della funivia, quello da Cime
Bianche a Plateau Rosa', non e' ancora in funzione. Aspettiamo per
circa 15 minuti in coda che l'impianto termini le corse di prova,
poi saliamo sulla cabina e poco dopo siamo a destinazione.
Sono gia' stato una volta al Breithorn Occidentale, d'estate e
con un tempo orrendo; vento, nuvole e tormenta. Ricordo che quel
giorno c'era lo sconto del 50% sul biglietto della funivia, e che
quindi mi pareva un peccato rinunciare. L'ovvio risultato fu che
presi freddo, vento, neve e non vidi il celeberrimo panorama sul
monte Rosa e la Svizzera.
Oggi e' tutto diverso a parte il vento, che c'e' sempre.
Per fare l'escursione al Breithorn in giornata ci si sveglia al
mattino a 300-400 metri, si sale in macchina a 2000, poi in funivia
fino a 3500. Quanto di peggio si possa fare, in spregio alle piu'
semplici regole di acclimatazione. Poi da 3500 si sale a 4160, e
fin qui va ancora bene. Si comincia a star male quando si scende,
a 3800, 3700, fino alla funivia che ci riporta giu' in preda al
mal di testa e a volte alla nausea. L'altra volta e' andata cosi',
stavolta spero vada un po' meglio.
Norbert perde tempo a regolare le racchette da neve che ieri sera
ha affittato al negozio. Io sono gia' pronto, ma non mi dispiace
aspettare un po': la giornata e' bella e la gita e' breve, abbiamo
tutto il tempo. Non ci leghiamo, lo faremo solo al momento di affrontare
il pendio finale, tuttavia abbiamo gia' indossato l'imbrago perche'
qui siamo comodi e conviene farlo adesso. Partiamo che sono ormai
le 10.
Saliamo di buon passo sul bordo delle piste da sci, siamo entrambi
in buone condizioni fisiche. Superiamo salutando un paio di scialpinisti
che arrancano un po', infine ci troviamo al punto in cui si abbandona
la pista battuta per raggiungere la stazione intermedia dello skilift
del Piccolo Cervino. La neve qui e' vistosamente ventata, a tratti
si sprofonda un po', ma raggiungiamo senza difficolta' la piccola
costruzione in legno.
Ci fermiamo un po' per rifiatare e fare qualche foto. "I'll
have to buy a new battery" sbotta Norbert, contrariato dal
fatto che la batteria della sua macchina fotografica patisce il
freddo e rischia di rendere inutilizzabile l'attrezzo. Anch'io qualche
settimana fa ho avuto dei problemi con la macchina fotografica di
Michela, una piccola Yashica molto leggera la cui pila soffre ovviamente
il freddo. Per rimediare all'inconveniente ora mi porto dietro un
chilo di reflex meccanica, il cui esposimetro incorporato accusa
pero' lo stesso problema: anche lui va a pile. Risultato, scatto
un paio di foto sulla fiducia sperando di non sbagliare di troppo
l'esposizione. Il breve periodo di tempo che passo senza guanti,
a contatto con il metallo della macchina fotografica, e' sufficiente
a gelarmi le dita. Rimetto i guanti dopo averci soffiato dentro
per scaldarli. I due scialpinisti di prima ci raggiungono e ci superano.
Affrontiamo ora il lungo semicerchio quasi pianeggiante che ci
porta alla base del pendio del Breithorn Occidentale. La traccia
di salita sul pendio, grazie all'intensa frequentazione, e' netta
ed evidente. Sotto di essa ampie zone di ghiaccio vivo, lasciate
scoperte da quest'inverno senza neve. Sul pendio si distinguono
due puntini, due persone che stanno risalendo. Hanno lasciato i
loro sci alla base del pendio, piantati nella neve, ed ora risalgono
la lunga traccia diagonale verso sinistra. Non sembrano legati,
ma data la distanza posso benissimo sbagliarmi. "Look, look!
Two people going up!" e li indico a Norbert.
Norbert sembra leggermente piu' allenato di me, e' lui che tira
adesso ed in breve superiamo per la seconda volta i due scialpinisti.
Alla base del pendio togliamo le racchette da neve e calziamo i
ramponi. Ci leghiamo. I due scialpinisti invece non si legano, e
partono prima di noi. Visto che Norbert oggi e' piu' veloce mi metto
davanti io, cosi' potro' tenere il mio passo senza affaticarmi,
per poter poi affrontare la discesa nel migliore dei modi. Ormai,
dato il vento forte, abbiamo accantonato l'idea di traversare in
cresta dalla punta occidentale a quella centrale.
La salita procede senza storia; arrivati al termine della diagonale
pieghiamo a destra ed in breve siamo in prossimita' della cima.
Davanti a noi si apre il panorama verso la Svizzera; "Is that
Zermatt?" chiedo a Norbert indicando un paese in lontananza
"Yes, it is!" e' la risposta. Un paletto di legno spunta
per una trentina di centimetri dalla neve, che idea venire qui a
piantare un paletto! E poi, a cosa potra' mai servire?
Siamo in cima. I nostri predecessori si sono gia' tolti gli zaini
e stanno accovacciati per ripararsi dal vento. Scopriamo che non
si conoscono, che uno e' italiano e l'altro svizzero, e che entrambi
erano saliti con l'idea di andar soli. Si fanno fare una foto con
la macchina di uno di loro (funziona!) e dopo un po' scendono. Scorgo
gli altri due, i primi a salire, che ormai sono alla base del pendio
e si allontanano.
Di li' a poco mi congelo nuovamente le dita per scattare una foto,
mentre Norbert saggiamente rinuncia. Un'ultima occhiata, le tardive
ma inevitabili reciproche congratulazioni e poi si inizia a scendere.
Adesso e' davanti Norbert. Scendiamo fino al punto in cui sarebbe
necessario piegare a sinistra e lo oltrepassiamo abbondantemente.
Quando Norbert se ne accorge e' desolato, ma nessuno dei due ha
voglia di risalire. Affrontiamo quindi un traverso sul ghiaccio
vivo per raccordarci alla diagonale sulla quale siamo saliti. I
ramponi mordono bene ed in breve siamo sulla traccia, certo in queste
occasioni e' meglio non scivolare...
Alla base del pendio togliamo i ramponi e mettiamo le racchette
da neve. Invece di usare entrambi i bastoncini, come all'andata,
preferisco tenere in una mano un bastoncino e nell'altra la piccozza.
Cerco di mangiare qualcosa, ma non riesco. Comincio a sentire l'effetto
della quota e per questo motivo ho fretta di scendere ancora. Ci
sleghiamo.
Il lungo semicerchio pianeggiante che adesso percorriamo in senso
contrario rispetto all'andata sembra non finire mai. L'altimetro
segna 3775, per cominciare a scendere un po' dobbiamo prima raggiungere
la piccola costruzione in legno nei pressi dello skilift del Piccolo
Cervino. Le racchette da neve ci sono ora di molto aiuto.
Quando raggiungiamo la stazione intermedia mi sento affaticato.
Anche Norbert comincia a patire un po', e' meglio scendere veloci.
Per questo motivo la sosta dura poco, e ci rimettiamo in cammino
quasi subito. Ancora cento metri circa e saremo sull'ampia pista
da sci che ci permettera' di scendere alla Testa Grigia, cioe' alla
funivia. In lontananza scorgo i paletti che delimitano la pista,
Norbert cammina pochi passi avanti a me. Il vento strappa nuvole
di cristalli di neve dalla superficie e li fa risalire in turbini
che poco dopo si disperdono. Gli impianti di risalita, almeno quelli
che posso vedere, sono gia' chiusi. Non si vedono sciatori nei dintorni.
Saranno quasi le tre del pomeriggio, e il tempo sembra cambiare,
anche se le nuvole sono ancora lontane.
***
Sento affondare il piede sinistro, e d'istinto carico il peso sul
destro per risollevarlo. Anche il destro affonda. No, non e' solo
il piede che affonda, sono io che sto cadendo. Cado e scivolo in
avanti per un breve tratto, poi tutto diventa buio. Mi sento confinato
in uno spazio stretto, scendo sbattendo tra due pareti molto vicine
tra loro. Rimbalzo da una parete all'altra in una serie di brevi
spostamenti: sinistra-destra-sinistra-destra-sinistra...Sto cadendo
di schiena, ma forse non me ne rendo conto. So pero' quello che
mi sta succedendo: sto cadendo in un crepaccio. E non sono legato.
"Ferma, ferma!" non formulo mentalmente queste parole,
ma se si potesse dare voce alla sensazione che provo suonerebbe
proprio cosi': "Ferma, ferma!". Penso: "Stavolta
e' fatta, adesso muoio". Ma non ho paura; so solo che sta per
succedere, ecco tutto.
E invece non succede, invece mi fermo.
"Norbert! Norbeeeert! Nooorbeeert!"
La prima cosa che faccio, prima ancora di sapere se sono illeso
o ferito, e' gridare, chiamare il mio compagno, cercare di fermarlo,
impedire che vada via. E' il mio ultimo legame con la vita, col
mondo di fuori, la mia unica speranza di uscire di qui. Grido e
continuo a gridare, e intanto mi guardo intorno. Sono disteso sulla
schiena, i piedi piu' bassi della testa, in realta' quasi seduto.
Sopra di me, attraverso un buco nella volta di neve, l'azzurro del
cielo. Lentamente mi rendo conto che non sento dolore, che posso
muovermi. Sono illeso, non mi sono fatto niente. Acquisisco ed archivio
quest'informazione senza emozione, solo prendendone atto. Non sento
stupore per non essermi fatto nulla, e' un dato di fatto e lo accetto
come tale. La mia mano va verso l'imbrago, che ancora indosso, e
ne stacca il moschettone a cui stanno appesi il coltellino ed il
fischietto. Fischio, la prima volta piano, poi piu' forte e piu'
forte ancora. Dopo un po' smetto, non sento alcuna risposta.
Davanti ai miei occhi stanno le punte delle racchette da neve,
in mezzo ad esse la piccozza con la punta rivolta verso l'alto.
Mi sollevo lentamente e tolgo gli occhiali da sole. Posso muovermi.
Ora sono seduto sulla neve; confinato tra due pareti di ghiaccio
parallele che disteranno tra di loro poco piu' di mezzo metro. Davanti
a me la neve su cui sono seduto continua a scendere, fino a raggiungere
il fondo del crepaccio circa quattro, cinque metri piu' in basso.
Comincio a togliere le racchette e le ripongo sulla neve dietro
di me. Mi metto in piedi e tolgo lo zaino, poi mi giro. Nel farlo
pesto un po' la neve, per crearmi una piazzola un po' piu' sicura
e comoda su cui poggiare. Mi trovo su una rampa di neve, probabilmente
creata dal vento e dalla nevicata di due giorni fa. La rampa e'
inclinata di circa 45 gradi, e sembra poter costituire una comoda
via d'uscita dal crepaccio. Inoltre ha spezzato la mia caduta, permettendomi
di atterrare senza danni. Provo a saggiare la consistenza della
neve della rampa, e la trovo pessima. Non riusciro' mai a risalirla,
rischierei di sprofondare ancora di piu' e di peggiorare cosi' la
situazione. Non oso abbandonare la mia piazzola, ed intanto continuo
a gridare e fischiare. Sempre senza ottenere risposta.
Anche se sto bene, anche se la speranza di salvarmi si sta facendo
strada, nondimeno non mi sento sicuro. So che il ghiacciaio non
si muove, ma penso con sgomento a cosa succederebbe se le pareti
dovessero improvvisamente avvicinarsi.
Nella pratica dell'arrampicata mi e' capitato di vivere, a volte,
momenti di autentico terrore. Sei li' su un passaggio che non sai
come risolvere, ed hai paura di cadere. Hai il terrore di cadere.
Allora devi dominarti, ti devi calmare e devi comunque trovare una
soluzione. O su' o giu', ma li' proprio non ci puoi restare. Se
poi ti capita di passare, capisci che il passaggio l'hai risolto
quando hai trovato il giusto stato d'animo, quando hai vinto la
paura. E se non passi, beh, c'e' sempre la corda. Una volta tuttavia
mi capito' una situazione simile mentre arrampicavo solo e slegato
su un torrione della Rocca Sella, in val di Susa. Quella volta ando'
bene.
Adesso ci risiamo: la corda non c'e', anche stavolta deve andare
bene. Deve andare bene per forza.
Continuo a non sentire Norbert; che sia scappato via preso dalla
paura? Ma no, cosa vado a pensare! Se non lo sento ci deve essere
un motivo. E se fosse caduto anche lui in un crepaccio? In questo
caso addio soccorsi! Guardo verso l'alto, un refolo di vento soffia
un po' di cristalli di neve attraverso l'apertura nella volta. L'intensita'
della luce che filtra dall'alto diminuisce; una nuvola davanti al
sole o sta facendo notte? Dopo un po' la luce torna come prima;
era solo una nuvola. Ma se davvero cambiasse il tempo?
Devo cercare di uscire da solo.
Guardo verso l'alto, le pareti corrono parallele per circa sette,
otto metri, poi quella a monte cambia inclinazione e si allontana
leggermente, formando lo scivolo di un paio di metri sul quale sono
caduto. L'impresa non sembra impossibile, ma avro' bisogno dei ramponi.
Apro lo zaino ed estraggo la borsa dei ramponi, li calzo senza problemi.
Sono contento di questi ramponi, mai un problema, mai una volta
che si siano sfilati...
Mi rimetto lo zaino in spalla e mi giro verso la parete a monte.
Con la destra impugno la piccozza, ma prima spingo un po' su' le
racchette. Nello zaino non ci stanno, cerchero' di farle risalire
sulla rampa man mano che salgo.
Non ho mai arrampicato su ghiaccio, ma conosco piu' o meno la teoria.
Cerchero' di risalire usando la tecnica di arrampicata in camino,
con la schiena contro la parete a valle ed i piedi appoggiati alla
parete a monte, aiutandomi in trazione con la piccozza. Inizio piantando
le punte del rampone sinistro contro la parete, poi cerco di fare
il passo.
A volte in arrampicata uno dei momenti critici e' quello del "decollo",
quello in cui ti stacchi da terra e ti affidi completamente alla
parete. Oggi il decollo e' difficile, il piede e' troppo a sinistra
e mentre carico il peso sento dolere la caviglia. Non ci voleva!
Torno indietro e cerco di capire quanto la situazione sia compromessa.
Non sento dolore, allora riporto su' il piede, solo un po' piu'
a destra, e riprovo la manovra. Stavolta funziona, riesco a decollare.
Il piede destro segue subito e mi trovo incastrato nel camino, in
posizione a dire il vero non del tutto scomoda. Pianto la piccozza,
ma la becca entra solo per pochi millimetri: terra'? Provo a tirarmi,
tiene.
Faccio ancora un paio di passi, poi comincio ad ansimare. La tensione
nervosa, la quota, il fatto che ora metto tutte le energie in ogni
singolo movimento sono tutti elementi che mi portano a stancarmi
subito. Per fortuna quando sono stanco mi posso fermare, posso rifiatare,
posso calmarmi. Gia', calmarmi... ora ho capito che posso uscire,
ma man mano che salgo capisco anche un'altra cosa: che non posso
cadere. Se per un qualunque motivo dovessi cadere stavolta mi farei
male, o peggio ancora finirei incastrato senza possibilita' di muovermi.
La fine. Prima, mentre cadevo, non ho avuto il tempo di rendermi
conto del rischio che stavo correndo, ma ora ce l'ho. E' anche per
questo che ansimo, che devo calmarmi. Una canzone continua a girarmi
per la testa, piu' tardi non mi ricordero' quale.
Continuo a salire, ora ho deciso di abbandonare le racchette al
loro destino; sara' gia' tanto se riusciro' a salvare la pelle.
A volte impugno la piccozza con entrambe le mani per far penetrare
piu' profondamente la becca nel ghiaccio: funziona, solo che poi
e' piu' difficile estrarla. Sono quasi arrivato al punto in cui
la parete a monte cambia pendenza, tra poco dovro' staccarmi leggermente
dalla parete a valle per fare gli ultimi due metri ed uscire. I
ramponi tengono, la caviglia anche. Mi tocca fare un piccolo traverso
a sinistra, in realta' si tratta di un passo. Pianto la piccozza
gia' sullo scivolo e con mille cautele mi sposto lateralmente. Ora
ci siamo, e' il momento di portarsi sullo scivolo. Pianto la becca,
mi tiro leggermente ed e' fatta. Sono con entrambi i piedi sullo
scivolo, la schiena staccata dalla parete a valle. Porto la becca
poco oltre il bordo del crepaccio. Ancora un passo, un ultimo passo.
Alzo la gamba sinistra e, quasi in spaccata, la porto sopra il bordo
a valle del crepaccio. Poi spingo, striscio, mi giro su un fianco,
grido, sento il vento sul viso e la neve negli occhi, il terreno
finalmente orizzontale sotto di me. E sono fuori.
***
Resto per qualche istante disteso sulla neve a faccia in giu',
poi mi siedo. Il vento ora e' continuo e mi soffia in faccia cristalli
di neve e ghiaccio. I paletti che delimitano la pista da sci si
vedono appena in mezzo alla tormenta. Di Norbert nessuna traccia.
Il pensiero che sia caduto anche lui in un crepaccio si fa lentamente
strada, ma non ho le forze per guardarmi intorno alla ricerca di
un altro buco. Abbasso la testa cercando di ripararmi dal vento,
e per un po' rimango cosi'. Poco dopo vedo un'ombra risalire la
pista da sci, ma non riesco a capire chi possa essere. Infine, dopo
qualche minuto, la stessa ombra ridiscende ed allora mi alzo, agito
le braccia e mi risiedo. Indossa dei pantaloni rossi ed un pile
nero; come era vestito oggi Norbert? Lui mi vede, si ferma e lo
vedo estrarre qualcosa dallo zaino. Sembra che stia facendo una
telefonata. Dopo un po' mi si avvicina procedendo con cautela, la
corda in una mano. Ora si trova dall'altra parte del crepaccio,
e mi invita a raggiungerlo. "Shit!, I lost my snow shoes into
that damn crack!" credo siano le prime parole che gli urlo.
In effetti ho perso le racchette da neve, ed in quel momento mi
sembra la cosa piu' importante da dirgli. Lui capisce la situazione,
capisce che sono sotto shock e cerca ancora di invitarmi a raggiungerlo,
a passare il crepaccio. Allora mi alzo, comincio a sondare con la
piccozza il ponte di neve. A sinistra, vuoto; a destra, ancora vuoto.
"You'll have to jump, jump the crack!". Ha ragione, non
posso stare qui tutto il giorno a perder tempo, devo saltare il
crepaccio. Prendo la rincorsa, nel momento in cui salto sento il
piede d'appoggio che sprofonda nuovamente. No!, non posso cadere
di nuovo! L'attimo successivo sono disteso sulla neve, sul bordo
a valle del crepaccio.
Norbert mi racconta che si e' accorto subito di quel che era successo,
che ha sentito i miei richiami ed i miei fischi, che ha risposto
con tutto il fiato che aveva. Mi racconta anche che ha cercato di
fare una sosta per avvicinarsi in sicurezza al bordo del crepaccio,
ma che su quella neve cosi' inconsistente gli e' stato impossibile.
Ha piantato la piccozza, ma veniva via, allora l'ha sotterrata ed
ha pressato la neve sopra, ma non serviva a nulla. Ha scavato cercando
il ghiaccio per piantare la vite che gli avevo prestato questa mattina,
ma il ghiaccio chissa' dov'era. Infine ha chiamato il 118, che pero'
gli ha detto che l'elicottero non poteva alzarsi a causa del vento,
che sarebbero venuti su' dalla Testa Grigia con un gatto delle nevi
o una motoslitta, ma che ci voleva almeno mezz'ora. Poi si fa assicurare
per raggiungere la pista; io cerco di farmi un mezzo barcaiolo su
un moschettone all'imbrago ma non ci riesco, me lo deve fare lui.
Resto seduto nella neve mentre lo vedo allontanarsi. Giunto sulla
pista, mi assicura a sua volta e cosi' lo raggiungo.
Lo vedo estrarre il telefonino, sta nuovamente chiamando il 118
per annullare la chiamata. Risponde il 118 italiano che, come in
precedenza, lo mette in attesa mentre passa la chiamata al collega
svizzero. Lo sento parlare inglese; perche' mai dovrebbe parlare
inglese lui, tedesco, con uno svizzero? In seguito non sapra' rispondere
a questa domanda, e' evidente che anche lui ha subito un forte stress
emotivo. Dopo un po' mi passa il telefono, e posso personalmente
rassicurare l'operatore: "Don't send the rescue, I came out
by myself, I'm ok, not wounded!" - "Ok, grazie per la
sua chiamata, buona giornata" sono le parole con cui l'operatore
mi saluta. Parlava anche italiano, dunque.
Ho la caviglia sinistra un po' dolorante, ma ci posso camminare
bene. Spero solo di arrivare in tempo per l'ultima corsa della funivia.
Il vento nel frattempo e' un po' calato, Norbert sta riavvolgendo
la corda e ad un tratto si interrompe, mi guarda come se si fosse
d'improvviso ricordato qualcosa, poi mi abbraccia.
"Welcome back", mi dice. Bentornato.
***
I fatti descritti in questo racconto sono realmente avvenuti sabato
26 gennaio 2002; niente e' stato inventato o modificato. Con questo
racconto vorrei ricordare al lettore la necessita' di muoversi sui
ghiacciai solo dopo aver adottato le necessarie misure di sicurezza,
anche se ci si avventura in zone ritenute sicure.
Inoltre vorrei dedicare questo racconto alla memoria di Claudio
Miletto, scomparso poco piu' che ventenne tanti anni fa, il 15 maggio
1976, mentre arrampicava ai Picchi del Pagliaio, in val Sangone.
Fu investito da una scarica di pietre al termine dell'ultima calata.
Quando ormai la giornata, proprio come nel mio caso, sembrava conclusa.
Ciao, Claudio.
Valter Quenda
Torino, 31 gennaio 2002
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