Lima è un girone dantesco, io e Luciano
quasi volevamo tornare a casa… ma Lima è solo una tappa
che si porterà nel cuore della Codillera Blanca, dove
sono montagne di una bellezza impareggiabile . Oltre quella
grigia e costante cappa di nubi, vette stupende spuntano da
praterie infinite.
Il nostro obiettivo è in una valle semisconosciuta,
non distante da Huaraz (la Chamonix della Cordillera Blanca)
e raramente percorsa perché chiusa e con montagne dalle
normali non facili. La quebrada Rurec è uno dei rarissimi
posti delle Ande dove ci siano grandi pareti di granito, nella
valle c’è una “big wall” con una sola via, opera di una
spedizione spagnola nel 1997.
Con Pepe, che ci farà da cuoco e Feliciano, che conduce
gli asini, si parte la mattina sul tardi … e comincia lo spettacolo.
Mentre ci avviciniamo iniziano a spuntare, da dietro monti gialli
di erba arsa, vette aguzze, merlettate di cornici e seracchi
sospesi e sono solo lo scenario della nostra avventura. La nostra
meta non è abbagliante di ghiacci, ma è slanciata
e molto più verticale, non specchia la luce del sole
ma è grigia di granito, compatto e tenebroso. Fin da
lontano si capisce che non sarà una passeggiata.
Attrezziamo il campo base sotto la parete, siamo a 4060 m.,
ma tutto è verde, bestiame brado pascola con sfondo montagne
di 6000 m.. La nostra parete stende la sua ombra di luna sul
campo, è immensa e mi sento oppresso dal suo “carisma”.
La linea di salita è già studiata, da mesi, ma
sulla carta… mi pongo una serie di domande: come sarà
la roccia? Le fessure accetteranno chiodi? Quanti giorni occorreranno?…
Tanti interrogativi, ma domani avremo le prime risposte.
Attacchiamo tardi, verso le 10.30. Oggi è una fase di
studio, siamo arrivati solo ieri ma abbiamo voglia di arrampicare.
E’ nostra intenzione salire la parte bassa della parete, lasciando
corde fisse, a circa metà, c’è una spalla che
porta allo spigolo alto, strapiombante e minaccioso, che saliremo
in giornata o con un bivacco.
Salgo quattro tiri di placche compatte. Le difficoltà
sono contenute e dopo un difficile passo su muschio, il resto
è bella arrampicata di aderenza, la roccia non accetta
chiodi e le protezioni sono praticamente assenti, ma fa caldo
ed il tempo è sereno… per oggi basta, è solo un
assaggio.
Tornati al campo base, ceniamo e dopo mangiato ci mettiamo
fuori dalla tenda a parlare. D’un tratto vediamo un’animale
correre via, a me sembra un piccolo lupo, ma Pepe ci dice:”
El zorro”. Una volpe cercava cibo vicino al campo. La vita è
dura quassù e noi potremmo essere la salvezza di una
cucciolata di volpacchiotti. Di notte, mentre cerco di dormire,
sento dei rumori di carta stropicciata. Esco e vedo la volpe
che corre via, stava cercando qualcosa nella busta della spazzatura.
Decido che da domani metterò un po di cibo per el Zorro.
Ci svegliamo ed il tempo è cambiato, stanotte è
gelato e fa un bel freddo, tutti imbottiti, saliamo le corde
fisse e il quinto tiro, l’ultimo delle placche appoggiate. Giunti
ad una cengia con boschetto, inizia la vera lotta. Niente è
più semplice, le rare fessure sono completamente intasate
di un muschio che, come lo si tocca, spolvera spore che s’insinuano
ovunque, ho gli occhi gonfi e pieni di lacrime. Sono costretto
a scavare con un chiodo per mettere le protezioni, che non sono
quasi mai rassicuranti. La progressione si fa lenta e penosa.
Le placche sono molto lisce ed è impossibile proteggersi,
sono costretto ha piantare degli spit, ma non ci sono tacche
per posizionare i ganci, devo piantarli in equilibrio sui piedi.
I polpacci mi si “acciaiano” in modo feroce, dopo qualche tiro
sono stremato. Il freddo si fa sentire, Lucio si è semi
assiderato alla sosta, ed inizia a cadere una neve sottile.
Scendiamo stanchi e preoccupati. Le difficoltà sono tra
il 6B ed il 6C, ma ancora siamo nel tratto un po appoggiato
della parete, se la roccia è sempre così liscia
non so proprio come faremo a salire.
Dopo cena metto un po di cibo avanzato, su un sasso a pochi
metri dalla tenda cucina, poi mi apposto e aspetto….invano,
el Zorro ha troppo timore di noi, di certo aspetta che me ne
vada.
Oggi è il mio compleanno, ormai ho 47 anni e non sono
pochi, ma la voglia di salire è sempre la stessa, compirò
gli anni su una parete delle Ande. Stanotte el Zorro s’è
mangiato tutto, anche le bucce di mela, credo proprio che avesse
fame.
Le corde fisse sono una tortura, la fatica ed il freddo non
aiutano, il cielo non prevede sole, ma neppure bufera. Attacco
un diedro con una faccia che sembra un tappeto verde, senza
muschio sarebbe facile. Pianto un buon chiodo e salgo qualche
metro, trovo un appiglio che spunta dal tappeto verde e quando
lo tiro, volo assieme all’appiglio, atterro sul muschio e riparto.
Con difficoltà faccio tre tiri, ormai siamo in vista
della spalla di metà parete. Supero un tratto liscio
in arrampicata artificiale su ganci. Dopo vari equilibrismi
da panico, arrivo al termine della placca, c’è una zolla
di erba, è adagiata in una specie di piccola conca della
roccia, essendo tutto estremamente compatto, deduco che la zolla
non ha radici, è un po di terra accumulata nella conca.
Tutto il mio peso è su due ganci, poi vari metri di “niente”,
devo trovare il coraggio di tirare la zolla… spero di non portarmela
via. Trattengo il respiro e pianto una mano nell’erba umida.
Il gancio più basso, appena lo scarico, esce e devo stare
attento a non oscillare su quello superstite, se esce anche
il secondo faccio un volo lunghissimo. Pianto anche l’altra
mano nell’erba umida e con movimento rapido ma delicato, salgo
sopra, il secondo gancio esce e sento che la zolla si muove
sotto i miei piedi. Attrezzo la sosta e penso che la mia malattia,
l’alpinismo, ha raggiunto livelli patologici, ormai sono nel
“tunnel della dipendenza”, non mi basta più il Gran Sasso,
devo venire a ficcarmi nei guai anche lontano da casa.
Fa freddo e, come ieri, inizia a cadere una neve fine e gelida,
ci caliamo… Buon compleanno Roberto.
Dopo una giornata di riposo a passeggiare nella valle e fare
foto, la mia forma è appena migliore. Abbiamo osservato
Feliciano che, per passare il tempo, intrecciava corde con le
fibre sfilate a sacchi di iuta. Ci rendiamo conto di quanto
siamo fortunati, per Feliciano è un lusso avere delle
corde per i suoi asini, noi ne consumiamo per un gioco da ricchi
che è l’alpinismo. El Zorro viene regolarmente a cena.
Ieri sera lo abbiamo visto, mangiare e scappare via, gli ho
messo altro cibo e lui (o lei) è tornato ancora. Deve
essere appostato in attesa, appena mi vede che lascio qualcosa
si prepara, come mi nascondo corre a mangiare.
Ho le dita ferite e i polpacci saturi di acido lattico, ma
oggi dovrebbero aspettarci dei tiri più facili. Ci attende
una rampa che porta alla spalla, da li, con un tratto di conserva,
arriveremo sotto il salto finale. Ma questa parete non è
mai banale, le apparenze ingannano.
Dalla sosta sulla zolla d’erba, sono costretto ad un ennesimo
passo su ganci, poi raggiungo la rampa. E’ piena di arbusti,
ma sono particolarmente fragili, come li tocco si spezzano,
a terra un tappeto di humus quasi verticale e per completare,
la roccia attorno è completamente liscia. Senza possibilità
di assicurazione, sono obbligato a procedere con due lunghi
chiodi ad u, usandoli a mo di piccozze: pianto i chiodi e scavo
con i piedi delle buche nel muschio… neanche sulla Nord del
Camicia (chi la conosce capirà) ero arrivato a tanto.
Il terriccio mi va dappertutto, starnuto ed ho gli occhi accecati
dai minuscoli frammenti del muschio. Se continua così,
va a finire che guarisco dalla “dipendenza da alpinismo”. Due
tiri di grado indefinibile, ma veramente difficili. Arrivo ad
un comodo terrazzo e sono cotto, completamente coperto di terra
e muschio, sembro una creatura dei boschi… un folletto o un
“homo selvatico”. Ho le mani piene di ferite, le unghie che,
a forza di scavare, sono parzialmente sollevate e non riesco
più a stringere. Così non posso continuare, per
di più il tempo non è bello, fa freddo ma non
nevica… inizia a cadere una leggera pioggia. Questa via è
allucinante, ha salito itinerari difficili e di molti tiri ma
qui non riesco a fare che tre/quattro lunghezze al giorno. Ma
manca poco alla spalla, poi dovremmo trovare difficoltà
alte ma su roccia… Da dove siamo si vede meglio il tratto alto,
diedri strapiombanti e poco rassicuranti. Luciano, tanto per
tirarmi su, mi dice:”A Robbè, io non te lo vorrei dì,
ma li mesà che non se passa!”. Ancora un tiro e saremmo
sulla spalla, ma oggi non ce la faccio più, ci caliamo.
Dopo un altro giorno di riposo risaliamo, penando sempre più,
le corde fisse. Attacco la placca sopra la sosta e con un passo
molto delicato mi porto sotto un lungo tetto, con difficoltà
traverso verso un intaglio, dove sembra facile salire. Fin qui
siamo su difficoltà abbastanza alte. “Non mi sembra difficile”,
grido a Luciano. Provo a salire… una lavagna, mi mancano solo
i gessetti colorati. Pianto uno spit e faccio un passo molto
duro, ma poi tutto diventa surreale, solo “minimicrotacche”.
Con un chiodo le pulisco dai licheni e proseguo su ganci. Uno,
due, tre… Comincio ad essere lontano dalla protezione, ma uno
stupido orgoglio, non mi fa piantare uno secondo spit per la
progressione. Continuo sui ganci… , cinque, sei… finalmente
esco sulla agognata spalla di metà parete. Sosto su un
albero e Luciano sale in fretta, il cielo, come tutti i giorni,
si è annuvolato. Saliamo la spalla di conserva e arriviamo
sotto lo spigolo strapiombante che porta alla cima. Ci rendiamo
conto delle difficoltà, ma visto che fino ad ora ciò
che sembrava facile non lo era, speriamo nell’opposto. Comincia
a piovere e non è una pioggiarella fine, piove davvero,
scendiamo in fretta sotto uno scrosciare fitto.
Stanotte è piovuto e stamattina la parete è tutta
bagnata, salire è impossibile, anche il tempo è
incerto. Decidiamo di concederci una giornata di riposo, ne
abbiamo bisogno. Zorro, puntuale viene a cena.
Finalmente il tempo è sereno, speriamo che duri tutto
il giorno, oggi cercheremo di arrivare in cima, ci aspettano
fessure strapiombanti e un lunghissimo diedro.
Saliamo le corde fisse ed arriviamo sotto lo spigolo, la parete
è in ombra e ci resterà fino al pomeriggio. L’acqua
della pioggia di ieri ha lasciato le roccia bagnata, la parte
bassa e leggermente appoggiata, è completamente zuppa.
Siamo abbigliati come se stessimo facendo un’invernale, fa freddo
e devo farmi coraggio per attaccare. Prendo una rampa che porta
alle fessure strapiombanti, il velo d’acqua la rende scivolosa,
non è difficile, ma salgo in modo impacciato e mi sento
sempre li li per cadere. Finalmente arrivo alle fessure e, anche
se impegnative, mi permettono di arrampicare più tranquillo,
sono abbastanza asciutte. Con quattro tiri di fessure e tetti,
quasi sempre in artificiale su dadi e friend, arriviamo ad un
grande terrazzo che ci permette di agirare lo spigolo e attaccare
il grande diedrone che sale sulla sinistra. Qui l’arrampicata
è di nuovo disturbata dal muschio, passi in libera si
alternano a lunghi tratti di artificiale difficile, spesso molto
delicato. Con altri quattro tiri usciamo finalmente nella parte
facile finale. Il tempo è bello ed ora fa abbastanza
caldo, ma ormai siamo nelle ore del tardo pomeriggio. Saliamo
in fretta un diedro-canale che porta sotto l’ultimo salto. Era
nostra intenzione uscire sulla vetta principale, un poco più
alta della cima salita dalla spedizione spagnola, ma è
tardi, il sole sta tramontando e l’idea di bivaccare non la
consideriamo per niente. Decidiamo di far terminare la nostra
via in comune con “Monttrek”, aperta nel 1997 dagli Spagnoli,
anzi Catalani.
Dalle ombre lunghe della sera, ci avvediamo delle dimensioni
ciclopiche della montagna, a perdita d’occhi ci sono monti a
noi sconosciuti, uno spettacolo che avevo sognato tante volte,
ma che ora mi lascia quasi indifferente. Facciamo un paio di
foto con l’autoscatto, sorridiamo, ma è un sorriso artificiale,
non sento la “felicità della vetta”, non mi sento appagato
o orgoglioso. La via è fatta, ma è tardi e dobbiamo
scendere, ci toccherà calarsi in doppia alla luce delle
frontali e su una parete così non sarà piacevole.
In discesa non abbiamo particolari problemi, le corde fisse
dalla parte bassa ci agevolano a trovare la strada al buio ma,
forse a causa delle forti escursioni termiche, si sono accorciate
e ora sono troppo tese per far scorrere i discensori. Siamo
costretti a tagliarle. Col risultato che in vari casi, non arrivavano
più alla sosta. Dopo un giorno di riposo, torneremo a
prenderle e le regaleremo a Feliciano, assieme ad una bella
mancia, oltretutto sarebbe imperdonabile lasciarle a marcire
su una parete così selvaggiamente bella.
Al campo, Feliciano , che ha dato il cambio in cucina a Pepe,
ci aspetta sveglio, quando ha visto le nostre frontali che scendevano,
ha messo su un po di minestra calda. Mangiamo raccontando la
salita a Feliciano, che per la verità, sembra interessarsi
solo per compiacerci. Ma dobbiamo parlarne con qualcuno. La
nostra salita è fatta, il mio sogno di aprire una via
fuori Italia si è realizzato, ma non c’è euforia,
semplice sollievo, come se mi fossi tolto un peso. Sono deluso
dalla pochezza delle emozioni per aver terminato la via, è
solo una tappa di un cammino verticale che non so dove cavolo
possa portarmi, un cammino che è ormai la mia vita, un
cammino che forse mi aiuta a capire me stesso, o mi confonde
ancor di più le idee. Ma questo è il solito discorso
sul perché uno si debba imbarcare in certe avventure,
sulle motivazioni che portano a cercare in montagna “non so
cosa e non so perché”. Zorro aspetta la cena, stanotte
deve essersi preoccupato. Non si fa vedere, ma c’è, la
mattina dopo ha pulito ben bene il sasso dove metto il cibo.
Chissà se lo rivedrò, mi piacerebbe incontrarlo
ancora, magari per un'altra spedizione… “Hasta Luego, Zorro”
è la nostra via ed un augurio.
Via “Hasta Luego, Zorro”: Roberto Iannilli & Luciano Mastracci
il 2/8/2001, dopo 6 giorni di arrampicata. Sale placche compatte
e diedri strapiombanti, prevale l’arrampicata libera nella prima
metà e l’artificiale nei diedri dello spigolo finale.
Roccia compatta ma con fessure intasate da un terribile muschio.
Sviluppo 1200 m., difficoltà fino al 7A e A3+.
by Roberto Iannilli |