La macchina del tempo

Lungi da me l’idea di scrivere un trattato di storia dell’alpinismo. Ma è facile che per un appassionato dilettante di questa materia certe escursioni sulle Alpi si trasformino in una specie di pellegrinaggio, in una sorta di "macchina del tempo" che fa rivivere le imprese dei pionieri. Perché sono loro che conosco meglio, in quanto il loro alpinismo è più vicino a ciò che faccio io in montagna. Mi trovo più in difficoltà nel leggere certe evoluzioni dei rocciatori moderni, per quanto ben scritte.

Raggiungere da Zermatt la base del Cervino, o del Matterhorn come si chiama da queste parti, significa essere al centro di una chiostra di vette disposte su tre lati sulle quali sono state scritte pagine importanti di un’epoca.

Il primo impatto con Zermatt è stato tuttavia un po’ deludente: scesi alla stazione non si vede nessuna delle vette cui accennavo prima. Fatti quattro passi in paese compare la piramide del Matterhorn ma per scoprire le altre montagne si deve salire a piedi oppure prendere le funivie.

La macchina del tempo si mette in moto davanti all’Hotel Monte-Rosa. Qui, nella piazza davanti allo storico albergo del signor Sailer, un giorno d'estate del 1864 Whymper ha ritratto una numerosa compagnia con molti bei nomi dell’epoca riuniti in posa: John Ball, Leslie Stephen, John Tyndall, A.W. Moore, Jean-Joseph Maquignaz, Peter Taugwalder e un’altra dozzina tra compatrioti e guide, tutti protagonisti di belle ascensioni.

Salendo in funivia allo Schwarsee ecco apparire via via tutto il gruppo del Rosa: il Castore e il Polluce, che visti da qui giustificano l’appellativo di "gemelli" a differenza di come appaiono dalla Val d’Ayas, il Brethorn, la Nordend, la Dufour e di profilo la nord dei Lyskamm. Tanti anni fa vidi uno schema delle vie di questa parete e individuai una costola rocciosa mai percorsa da nessuno. Pensai che sarebbe stato bello essere abbastanza bravi da salire di lì e pochi anni dopo lessi casualmente che la via era stata appena aperta da Patrick Gabarrou: ah, essere diventato bravo (quasi) quanto lui!

La funivia ci fa sorvolare velocemente i pendii erbosi una volta percorsi dalle comitive che valicavano il Col Teodulo. Qui Whymper lasciava andare avanti gli altri, beveva un sorso di vino, poi lo rabboccava con l’acqua e più avanti ripeteva la manovra.

Mischabel Allo Schwarsee, al termine degli impianti, il panorama è molto aperto. A nord-est troneggiano i Mischabel. Quella lunga cresta dev’essere la Teufelsgrat, la cresta sud-ovest del Taschhorn, teatro di una bella impresa di Mummery magistralmente descritta dalla moglie. La quale si impegnò in 12 ore di scalata, più discesa, bivacco e ravanage. Chapeau a lady Mummery. E quella cresta dentellata più a destra è quella montagna dal nome impossibile: Rimpfischhorn. Una prima ascensione compiuta da Leslie Stephen, il letterato e baronetto alpinista che ebbe una figlia che lo superò in celebrità: Virginia Woolf. E che lo descrisse autoritario e perentorio nel romanzo Gita al faro.

Monte Rosa Mi incammino lungo il sentiero per la Hornli Hutte. Supero lo Schwarsee, prima costeggio e poi risalgo un gradino roccioso da cui si ha un’ampia vista del gruppo del Rosa, con il cono innevato della Nordend e quello roccioso della Dufour. Lungo questi ghiacciai (quanto più vasti di oggi?) un gruppo di guide nel 1855 condusse la comitiva dell’irlandese John Ball e di vari alpinisti britannici alla conquista della più alta cima del gruppo. La scalata viene tradizionalmente fatta coincidere con la prima idea di fondazione dell’Alpine Club, il primo del mondo nel suo genere, che vide la luce nel 1857.

Ma chi erano questi britannici alla conquista delle Alpi? Erano alto-borghesi e aristocratici, la cui vita coincise con il lungo regno di Vittoria. Un periodo in cui la Gran Bretagna era la prima potenza mondiale e la cui società si stava frantumando in classi sociali antagoniste. Se avete visto, o meglio ancora letto, The Time Machine di Herbert G. Wells, l’autore si ispira proprio a quel periodo. E lo schematizza creando gli Eloi e Morlock. I primi, discendenti da una classe dirigente a cui Wells pronosticava un futuro inglorioso sprofondato nell’apatia, i secondi evoluzione di una classe lavoratrice abbruttita ma laboriosa. E tutta questa bella gente che scalava le Alpi dove la collochiamo secondo Wells? Canditati a futuri Eloi o Morlock? Lord, politici, scienziati, baronetti avrei pochi dubbi. Whymper faceva l’incisore...mah!

Lungo un costone detritico e pianeggiante gli occhi di tutti si dirigono verso il Matterhorn incombente, con le sue pareti est e nord. E vengono in mente le parole di Messner, che tentò la ripetizione della via Bonatti: "Potrei trovare vari motivi per dire che non sono passato, invece non sono passato perché non sono saputo passare. Quell’uomo su quella montagna ha fatto qualcosa di incredibile".

Matterhorn Nell’ultimo tratto il sentiero sale con stretti tornanti su uno sperone roccioso fino al rifugio Hornli, a 3.300 metri. Lì, su quel ripiano ghiaioso poco sotto di noi, dove oggi ci sono tre tende di alpinisti, si accampò il gruppo di Whymper la sera del 13 luglio 1865. E sulle rocce qui sopra si fermò Whymper la notte seguente, dopo la conquista e il volo mortale di quattro compagni, restando sveglio con la piccozza in pugno perché temeva che i Taugwalder l’avrebbero ammazzato e derubato per poi dire che anch’egli era precipitato.

Guardando verso nord-ovest spicca la parete delle Dent Blanche, la cui prima ascensione venne dapprima contestata a Tomas Stuart Kennedy perché si era svolta nella nebbia. Gli abitanti della val d’Herens chiamavano la montagna Dent d’Herens mentre la cima che sta quattro chilometri a ovest del Cervino era detta Dent Blanche per la sua ghiacciata parete nord. I topografi svizzeri fecero confusione e così oggi le due montagne portano ciascuna il nome dell’altra.

Dopo la Dent Blanche c’è l’Ober Gabelhorn, una piramide regolare salita per la prima volta il 6 luglio 1865 dall'inseparabile duo Moore & Walker (gli stessi della punta Walker e dello sperone della Brenva) e il giorno dopo da Lord Francis Douglas con la sua guida Peter Taugwalder. Questi ultimi non videro che la vetta era una cornice di neve e rimasero a penzolare appesi alla corda, trattenuti dal loro compagno. Forse non è un caso che una settimana dopo Lord Douglas fu tra le vittime del Matterhorn.

Zinalrothorn e Weisshorn Abbiamo quasi finito la sfilata di vette. Chi ha avuto la pazienza di leggermi fin qui può cominciare a tirare un sospiro di sollievo. Prima però c’è l’elegante punta rocciosa dello Zinalrothorn, un’altra delle conquiste di Leslie Stephen. E anche l’ultima cima scalata da Georg Winkler, la meteora delle Dolomiti, prima di scomparire sul Weisshorn. Proprio il Weisshorn che si vede più a nord. Questa imponente montagna, che supera per altezza il Matterhorn, era stata tentata da Stephen e salita nel 1861 dal professor Tyndall, il più celebre degli scienziati-alpinisti del periodo. Le vanterie di quest’ultimo portarono Stephen a fare ironia verso chi andava in montagna a fare esperimenti di scienza e ad un diverbio dopo il quale Tyndall uscì dall’Alpine Club. Sappiamo che l’anno seguente il professore fallì di poco la conquista del Cervino: se ci fosse riuscito probabilmente lo avremmo ricordato come il più grande dell’epoca. Tyndall, che ossessionato per anni dalla paura di non trovare moglie morì per una dose eccessiva di cloroformio somministratagli dalla consorte.

Al rifugio ascoltiamo discorsi in italiano e in italo-tedeschese. Sono svizzeri che discutono animatamente: tutti i convitati vorrebbero il loro paese nell’Unione Europea. Vivono nel paese dei "quattromila" ma sentendo che siamo italiani ci fanno molte domande sulle Dolomiti, in particolare su "cos'è una via ferrata". Ormai resta la discesa, il "pellegrinaggio" è finito. Dove sarà il prossimo? Dalle parti del Monte Bianco, probabilmente. Sognando l’Everest.

--
by Andrea62

4 maggio 2003 (escursione del 28/07/2002)

indietro