LE CINECAMERE
DEL C.A.I.

Filmfestival Internaz. Città di Trento
Trento 2/04 - 4/05/2002

Dietro le fatiche degli alpinisti e la gloria delle loro imprese ci sono dei personaggi spesso poco conosciuti o sottovalutati: sono i cineoperatori e i cameramen. Senza di loro, tante epiche scalate sarebbero mutilate della testimonianza più importante: le immagini. Permettetemi quindi la difesa della categoria a cui, bene o male, appartengo. Fare riprese in montagna, specie in alta quota, è un lavoro assai duro e faticoso. L'operatore fa la stessa identica fatica dell'alpinista vip ma nessuno lo sa. Lui lavora nell'ombra. In più è gravato da una responsabilità tremenda: portare a case le immagini.

 

Nelle vecchie spedizioni era l'alpinista stesso che faceva le riprese, anche se le sue competenze cinematografiche erano scarse se non addirittura nulle. L'obiettivo infatti era unicamente quello di documentare la scalata e, possibilmente, l'arrivo in vetta. Ci si rese presto conto però, soprattutto quando poi si andavano a cercare finanziamenti, che portare a casa del buon materiale cine-fotografico era molto importante. Alcuni alpinisti si specializzarono dunque nelle riprese in montagna, perché in questo campo infatti sono necessarie, anzi indispensabili, sia le competenze alpinistiche che quelle cinematografiche.

   
Manifesti di registi famosi

   
   
Ertel Werke model "A", 35 mm (1908)

   
   
Lumiere Cinematolabe 35 mm, (1909)

   
   
Eclair Cameflex 35 e 16 mm con torretta girevole a tre ovbiettivi (1946)

   
   
Un ferro del mestiere indispensabile: il treppiede

   
   
Bolex Paillard 16 mm, con zoom Vario Switar 16-100

   
   
Arriflex 16 ST, 16 mm con zoom, paraluce e ottiche intercambiabili (1951)

   
   
Beaulieu 16 mm (1958)

   
   
Arriflex 35 mm

   
   
Arrilex 35 mm su binario (dolly)

   
   
Il mitico registratore a nastro magnetico "Nagra"

   

Doppio lavoro
Chi fa la scalata o la grande impresa può concentrarsi unicamente su quel che deve fare mentre l'operatore, che spesso è lì a pochi metri, fa un lavoro doppio: il freddo, la fatica, la pesantezza dello zaino sono messi in secondo piano, la ripresa è la cosa più importante di tutto. L'operatore deve andare avanti o restare indietro per cercare l'inquadratura migliore, levarsi gli occhiali e magari i guanti con 30 sottozero perchè altrimenti non riesce a lavorare. A 2000 metri non ci sono problemi, ma a 7000 metri e più quando devi conservare ogni stilla di energia, anche l'operazione più banale diventa una fatica improba.
Dall'operatore dipende il buon esito (mediatico) della spedizione. Se mancano le immagini è un dramma, tutta la responsabilità è sulle sue spalle.

Croci e delizie

Gli accidenti che possono capitare quando si è lontani da casa sono milioni. I guasti meccanici o elettronici, le batterie che si scaricano o si rompono, la pellicola o il nastro che si spezza. Fortunatamente la tecnologia ha fatto passi da gigante e gli apparecchi da ripresa odierni sono in genere più leggeri e maneggevoli rispetto a un tempo. Le telecamere stanno sostituendo ormai le costose e scomode cineprese. Le moderne telecamere digitali stanno in una mano sola e hanno una qualità ottima. E soprattutto si può vedere subito il girato. Quando si usava la pellicola spesso bisognava aspettare dei mesi per vedere il risultato, perché le pellicole venivano spedite al laboratorio di stampa solo al rientro in Italia.

Dal cassone a manovella alla videocamera digitale.
Le prime cineprese, come si vede nalla foto a fianco, erano assai rudimentali, in pratica dei cassoni di legno con una manovella con cui azionare lo scorrimento della pellicola.

Ciak motore!
Successivamente arrivarono i motori a molla, che garantivano una velocità di scorrimento uniforme. Questo sistema però aveva un difetto: la "carica" era molto breve, al massimo qualche minuto, quindi bisognava ricaricare la molla. Il vantaggio era che questo tipo di motori si rompeva raramente e non soffriva il freddo. Con l'avvento delle cineprese con motori elettrici le cose migliorarono riguardo all'autonomia, ma introdussero nuovi problemi: le batterie pesavano e pativano il freddo. Inoltre era necessario un congegno per ricaricare le batterie.

Le pellicole
Anche un tempo si "litigava" sui vari formati della pellicola. C'era l'8 mm, il 9.5, poi il 16, il 35. C'era la perforazione singola, quella al centro tra un fotogramma e l'altro, la doppia perforazione su entrmabi i lati. Successivamente il formato amatoriale per eccellenza fu un nuovo formato, il super 8, mentre 16 e 35 mm diventarono i formati professionali per eccellenza. Il 16 usato nei documentari, il 34 mm nel cinema. Dalle vecchie bobine della durata di pochi minuti si passò ai caricatori con centinaia di metri di pellicola. Il caricamento delle vecchie cineprese era complicatissimo: bisognava, al buio in camera oscura o negli appositi sacchi a tenuta di luce, inserire la bobina nella cinepresa e, svolta un po' di pellicola, farla passare all'interno di un percorso zeppo di pulegge, camme e rulli, aprire il pressapellicola, passarla sotto e agganciare la perforazione ai "dentini" di trascinamento, richiudere il pressapellicola e, infine, finalmente, agganciare la pellicola alla bobina vuota. Il tutto alla cieca, servendosi semplicemente del tatto.

La velocità di trascinamento
Le vecchie bobine erano da 30 metri, e alla velocità standard di trascinamento duravano meno di 3 minuti, finita la pellicola bisognava rifare tutta la trafila da capo! La velocita' di trascinamento della pellicola poteva essere variabile: c'era il passo singolo, poi 4,5, 9, 12, 16, 18, 24 fotogrammi al secondo. Il passo singolo era usato nelle animazioni (i vecchi "effetti speciali" di una volta), mentre le velocità standard erano 16 fotogrammi prima e quindi 24 fotogrammi al secondo, che è lo standard attuale. Agli albori del cinema la pellicola era fatta scorrere come detto con una manovella, quindi a bassa velocità e a sbalzi. Per questa ragione i personaggi delle vecchie comiche si muovono a scatti. Successivamente, specie a scopo scientifico, si inventarono motori e cineprese in grado di far scorrere la pellicola a velocità superiori allo standard: 36, 72 e oltre 100 ft/sec. In proiezione la velocità di scorrimento della pellicola è sempre 24 ft/sec: un girato a 72 ft/sec e oltre produrrà il noto effetto "ralenty". Di pari passo si aumentarono le capacità delle bobine: non più all'interno delle cineprese quindi ma montate all'esterno in grossi caricatori, che non richiedevano più l'inserimento manuale della pellicola. Le moderne cineprese specialistiche possono raggiungere addirittura migliaia di fotogrammi al secondo, per esempio per osservare il proiettile che buca il pallone. Il passo singolo invece, oltre che per le animazioni, viene utilizzato per accelerare movimenti lentissimi: per esempio, la crescita di un fiore o l'evolversi di corpi nuvolosi. Si scattano pochi fotogrammi al minuto, ogni ora eccetera. Proiettando il tutto ai canonici 24 ft/sec possiamo quindi osservare fenomeni non percepibili dall'occhio umano, che ha una persistenza dell' immagine sulla retina di circa 1/16 di secondo.

Bianco & nero e colore
Le pellicole all'inzio sono ovviamente in bianco e nero. Nel dopoguerra si inizia a diffondere il colore. Si usa l'invertibile, o il negativo per relizzare più copie.

Le ottiche
Dall'ottica fissa si passò alle ottiche multiple su torretta girevole: su un piatto erano montate 3 ottiche: il grandangolo, il "normale" e il teleobiettivo. Questa soluzione aveva il difetto della pesantezza. L'alternativa erano le ottiche intercambiabili: l'obiettivo poteva essere smontato e sostituito con un altro. L'industria ottica sfornò centinaia di obiettivi specialistici con qualità e luminosità sempre migliori. L'avvento degli zoom, obiettivi a focale variabile fu un'altra positiva rivoluzione. Non più numerose ottiche da portarsi appresso, con tutte le scomodità realtive al montaggio, ma un solo obiettivo che riuniva in sè le caratteristiche del grandangolo e del teleobiettivo, con la possibilita' di variare continuamente la focale e quindi l'inquadratura.

Mirino galileiano e reflex
La possibilità di montare ottiche diverse determinò il problema di adeguare il vecchio mirino galileiano a traguardo all'ottica montata in quel momento. Su alcuni modelli si usavano maschere o segni per delimitare l'inquadratura corrispondente alle varie focali. In altri casi il mirino era fatto basculare per correggere l'errore di parallasse. La soluzione fu l'avvento delle cineprese reflex: mediante uno specchio mobile ("reflex" per l'appunto) l'immagine dall'obiettivo era riflessa all'interno del mirino, consentendo così all'operatore il pieno controllo dell'inquadratura.

L'audio
La ripresa in diretta audio è per anni il sogno proibito dei vecchi operatori. Questo sogno diviene realtà con i mitici registratori Nagra, che possono essere sincronizzati con la cinepresa. Questo implica però la presenza di un fonico che regoli l'apparecchio. Una ulteriore innovazione sono le strisce magnetiche applicate direttamente sulla pellicola, o dei speciali trasduttori all'interno della cinepresa che convertono il suono in segnali ottici impressi sulla pellicola. Nascono così le cineprese sonore. Oggi le moderne telecamere hanno fino a 4 piste audio indipendenti, con fedeltà di registrazione simile a quella dei CD.

 
Pathè 16 super 16 mm (1950)   Arriflex II "C" 35 mm (1935) e custodia "blimp" anti rumore

La telecamera uccide la cinepresa
Da poco meno di un decennio le telecamere stanno prendendo sempre più piede e in breve soppianteranno le cineprese. Il nastro magnetico non costa quasi nulla rispetto alla pellicola, si può vedere subito il girato e il montaggio in postproduzione è molto più duttile. La qualità non è ancora paragonabile a quella su nomale pellicola 35 mm, ma il divario si sta assottigliando rapidissimamente. I progressi in questo campo sono enormi e con l'avvento della registrazione digitale si ha un ulteriore balzo in avanti. La miniaturizzazione e la capacità delle batterie migliorano ancora. Nuovi formati video si impongono.

 
La gloriosa Arriflex 35 mm, usata nel cinema

  Arriflex 35: fino a 100 ft/sec con speciali motori
 
Arriflex 35 mm con sgabello e binario (dolly)

  Mitchell R 35 MK II, 35 mm (1960)

David Breashears

   
Sony Betacam con radiomicrofono

   
   
Pat Morrow con una moderna digitale in formato mini DV    

La registrazione digitale
Con le nuove telecamere digitali si apre una nuova era. L'avvento di un nuovo rivoluzionario sensore, il CCD (Charge Coupled Device), manda in soffitta le vecchie telecamere. Il formato professionale BETACAM diventa uno standard video mondiale, la qualità è eccellente. Nel settore amatoriale e semiprofessionale, il formato digitale MINI DV si impone sul vecchio VHS e S-VHS per la sua indiscussa superiorità. Le nuove e leggerissime telecamerine in formato MINI DV sono una manna in montagna e in tutte quelle situazioni in cui le pesanti BETACAM (mediamente dagli 8 ai 15 kg) sono difficili da trasportare, ovvero nelle lunghe marce o in parete. Le cineprese "resistono" ancora nell'utilizzo in condizioni ambientali estreme, ma ormai la strada è segnata.

La mostra è aperta fino al 5 maggio 2002 a Trento presso il Centro S. Chiara.
L'ingresso è libero.

testo e foto Alessandro Ghezzer



Arriflex 35 III